La Corte Suprema degli Stati Uniti ha recentemente dichiarato illegittimo un articolo della legge sulla prevenzione della pornografia infantile, il Child Pornography Prevention Act (CPPA) – adottato dal Congresso americano nel 1996 – che prevede una pena dai cinque ai quindici anni di reclusione per chi “distribuisce o possiede immagini virtuali raffiguranti bambini in posizioni sessuali”.
I giudici della Corte hanno motivato la decisione sostenendo che la disposizione in questione deve ritenersi troppo vaga e non conforme al primo emendamento della Costituzione americana che tutela la libertà di espressione. Tale mancanza di chiarezza, si legge ancora nella sentenza, potrebbe condurre all’incriminazione degli autori di immagini che non hanno ad oggetto “realmente” dei minori e all’indebita censura di certe forme di espressione artistica.
William H. Rehnquist, giudice della Corte Suprema, in aperto contrasto con i suoi illustri colleghi, ha, però, sostenuto che anche le immagini virtuali costituiscono un pericolo, in quanto contribuiscono indirettamente alla promozione della pedofilia.
Molto spesso, infatti, non è per nulla semplice distingue tra le immagini create artificiosamente al computer e le foto che raffigurano realmente dei minori.
Nonostante la decisione della Corte Suprema, perciò, non sono cessate le polemiche e permangono tutte le difficoltà connesse ai tentativi degli organi giudiziari americani di tutelare adeguatamente sia i diritti delle persone e, in particolare, dei minori, sia la libertà d’espressione costituzionalmente garantita.