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Piccola guida per chi vuole accostarsi alla fotografia digitale

13 Dicembre 2000

Piccola guida per chi vuole accostarsi alla fotografia digitale

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Fotografia digitale: tutto quello che non avete mai avuto il coraggio di chiedere e che nessuno vi ha mai detto

I tempi sono maturi, la fotografia digitale (tutti ne parlano ed alcuni ne fanno) batte alle porte. Ma siamo esaurientemente informati di come funziona il sistema digitale per poter entrare in questo campo con tranquillità?

Un mondo che cambia

La fotografia sembrava non avere più segreti. Anche per quelli (e non pochi) che ancora non avevano bene chiara la differenza tra pellicola negativa e diapositiva o per chi ha chiesto più di una volta: “ma da un negativo bianco e nero, posso stampare una foto a colori?”.
Tutti noi, chi più chi meno, ci siamo abituati all’idea del rullino fotografico, con brandelli di conoscenza del processo chimico necessario e anche grazie a film che mostrano fotografi/spie in camera oscura, le nozioni sul processo di sviluppo sono familiari a molti.
Adesso, invece, le regole cambiano. La fotografia digitale si sta avvicinando sempre più ad un uso di massa e porta tecnologie nuove, metodologie inconsuete, oltre ad usi differenti del mezzo fotografico. Ecco allora una piccola guida per spiegare la tecnologia dietro alla foto digitale.
CCD, megapixel e risoluzione dell’immagine
Nella nostra macchina fotografica che funziona con i rullini della Kodak, l’immagine passa attraverso l’obiettivo e si fissa chimicamente sui cristalli d’argento che si trovano sulla pellicola. In seguito si dà il via a tutto il lavoro di sviluppo.
Nella fotografia digitale, mentre tutta la prima fase (messa a fuoco, esposizione, scelta dell’inquadratura) viene mantenuta, l’immagine che sotto forma di luce passa attraverso l’obiettivo non colpisce più la pellicola, ma dei CCD (o fotosensori) che digitalizzano l’immagine e la trasmettono ad una memoria che immagazzina il tutto in attesa di passarlo nel computer. Vediamo nel dettaglio.
L’acronimo CCD designa il termine inglese “charge coupled device” che può essere tradotto con “fotosensori”. Si tratta di diodi che ricevendo una determinata quantità di protoni (luce) e accumulano elettroni (carica elettrica). Più luce arriva, più alta è la carica elettrica immagazzinata. In funzione di questo verrà a formarsi una mappa di puntini più o meno luminosi, da cui, a seconda della quantità di luce ricevuta, sarà trasformata in byte, e finirà nella scheda di memoria.
Questi puntini sono i famosi “pixel”, il cui valore potrà variare a seconda del tipo di codifica e, normalmente, in un’immagine, più sono e più l’immagine stessa è “nitida”. Sul vostro schermo 800×600 avrete dunque 480.000 pixel; in una macchina digitale di nuova generazione un poco più di 3 milioni. Questo solo per stabilire dei rapporti di quantità.
Un chiarimento sul concetto dei Megapixel: quando sentiamo parlare della risoluzione di una macchina fotografica digitale di 2048×1536 pixel, proviamo a fare la moltiplicazione e avremo in totale 3.145.728 pixel. E perché allora vengono dichiarati 3.34 Megapixel (3.340.000 in tutto)? Perché una certa quantità di questi pixel sono utilizzati per gestire l’immagine e preparare i dati per la trasmissione.
Siccome il concetto dei megapixel ha a che vedere con la quantità di informazione che verrà usata per “vedere” la nostra immagine, quando ci preoccuperemo dell’uso delle immagini create con una macchina digitale, sarà interessante capire quale debba essere la risoluzione dell’immagine, e cioè quanti puntini per “inch” (un pollice = 2,54 centimetri) ci dovranno essere.
Ecco una tabella che può essere usata come punto di partenza. Immaginiamo di avere una macchina fotografica digitale da 2.1 megapixel, 1600×1200 pixel in tutto. Cosa riusciamo a fare con questa immagine?
Stampa Tipografica: 300 DPI – 13.5×10 cm
Stampa fotografia con stampante di buona qualità: 180 DPI – 22.5×17 cm
Web: 72 DPI – 56×42 cm.
In realtà questi valori possono essere un poco esasperati, e quindi nella stampa tipografica arrivare ad un formato 1/2 UNI (21×15,5) senza troppi problemi, o ad una stampa con stampante formato UNI (29,7×21).

Per il Web “no problem”, avete materiale in abbondanza, se si conta che buona parte delle immagini che girano sul Web vanno tra i 150 e i 350 pixel di larghezza e noi ne abbiamo 1600.

Come passare le immagini nel computer?

Con le foto tutto era facile: si andava a prenderle dal laboratorio, si mettevano i negativi in un raccoglitore e le foto in un album o scatola da scarpe (come é tradizione nella mia famiglia).
Ma adesso le regole cambiano. Consideriamo intanto che le immagini che facciamo con una macchina digitale da 2,1 megapixel (e ancora più con una da 3,3) occupano parecchio spazio. Ecco quanto:
2,1 megapixel – 5,5 Mb in formato TIFF – 85 0K compresse JPG
3,3 megapixel – 9 Mb in formato TIFF – 1,1 Mb compresse JPG
La macchina fotografica è programmata per comprimere le immagini JPG, ma niente paura, non si perde molto, se si mantiene la risoluzione massima. Le foto vengono immagazzinate in una scheda di memoria, e successivamente passate nell’Hard Disk del proprio computer.
Ci sono attualmente quattro soluzioni che vengono utilizzate dalle varie marche:
Flash Cards (o CompactFlash). Piccolissime, sono attualmente il metodo più diffuso.
SmartMedia Cards. Un poco più grandi delle precedenti, ma più sottili.
Memory Sticks. Brevetto Sony, ed usate solo su apparecchiature Sony.
Normale disco da 31/2″. Solo la Sony Mavica lo usa. La grande limitazione è, oltre alla lentezza di acquisizione dell’immagine, il fatto che la foto deve essere molto compressa in formato JPG per poterne mettere otto sul disco. E la qualità ne risente non poco.
Tutte queste schede (a parte il disco) funzionano esattamente nello stesso modo: sono delle memorie solide (da questo l’alto prezzo) sulle quali vengono registrate le immagini.
Il passo successivo sarà passarle sull’Hard Disk del computer, e qui vi sono vari metodi, tutti validi:
per il desktop: un lettore specifico per il tipo di card che abbiamo,
per il laptop: di solito si usa un riduttore PCMCIA che funziona veramente bene, e costa molto poco.
In entrambi i casi si può fare appello al cavo che viene venduto in dotazione con la macchina e ci si collega alla porta seriale o meglio ancora alla porta USB.

Obiettivi zoom, distanze focali, sensibilità

Più o meno le stesse regole che valgono per la fotografia tradizionale valgono qui. Con la differenza che i sensori CCD sono molto più piccoli di una normale pellicola 35mm, dunque gli obiettivi sono più piccoli (ed economici!) e leggeri, ed i valori in termini di focale sono ben diversi. Uno zoom ottico di 8-24 mm su una macchina fotografica digitale corrisponde ad un 38-115 mm su una 35mm.
La capacità dei fotosensori CCD di registrare la luce determina quello che chiamiamo “sensibilità”. La definizione della sensibilità della pellicola/fotosensore CCD in ISO può essere semplificata così:
100 ISO: uso generale con sole
200 ISO: uso generale con tempo coperto o quando c’è bisogno di tempi più brevi
400 ISO: situazioni un poco critiche, emergenze. Interni, poca luce. Da usare raramente, la qualità dell’immagine ne risente parecchio.
Può sembrare un modo molto approssimativo di analizzare le cose, ma credetemi, ha le sue ragioni di essere.

Mirino, visore LCD e batterie, nota dolente

Fotografare con la macchina digitale e guardare nel mirino ottico è un controsenso. È come comprarsi la moto per poi portarla a spasso camminando. La praticità del visore LCD (ora particolarmente luminosi) è indiscussa. Ci sono poi macchine che offrono la possibilità di girare il visore o l’obiettivo, e cambiare così angolo di ripresa. Dal basso, dall’alto, di fianco. Libertà.
Ma tutto si paga. Provare per credere, le macchine digitali consumano più di una Ferrari. È folle pensare di usare batterie normali, sia in termini di costi che di inquinamento. Io consumo circa un set di quattro batterie AA per ogni 60/80 foto che scatto in un pomeriggio. Responsabili di questo consumo sono (marginalmente) Autofocus e i CCD stessi, mentre il vero colpevole è il visore LCD. Per risparmiare batterie basta spegnerlo e procedere nel modo tradizionale.
Il sistema più pratico è di usare batterie ricaricabili, ora non più NiCd (Nickel Cadmio con l’effetto “memoria”) ma di nuova concezione (NiMh – Nickel Manganese) con una durata di 500-1000 ricariche. Il pianeta “ringrazia” ed il portafoglio anche, ed è decisamente un aspetto da prendere in considerazione sin dall’inizio.
Ho dimenticato qualcosa? Sicuramente! Alla prossima puntata allora!

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