Da grande avrei voluto fare lo scrittore. Ero affascinato da un ritratto di Rudyard Kipling, chino su un foglio di carta, la penna in mano, le dita dell’altra mano che sfiorano appena le labbra per arginare un improvviso stupore. Avrei voluto scrivere storie come L’uomo che volle farsi re o i Pirati della Malesia, perché a noi torinesi a volte ci prende una voglia di altrove che solo le storie sembrano saziare. Il primo libro che ho comprato con i miei soldi: Memorie dal sottosuolo. Dostoevskij, mica Louis L’Amour. Avrei voluto essere uno scrittore serio, uno di quelli che cambiano l’esistenza, che aprono scenari, testimoni del proprio tempo. Quelli che ti porti dietro tutta la vita. Quelli che quando ti chiedono dell’isola deserta e della sola cosa da portare non hai esitazione. Il giovane Holden, Infelicità senza desideri, Moby Dick, Giobbe, Nel paese delle ultime cose.
Mi sarebbe tanto piaciuto vivere il corollario dell’essere scrittore. Avrei voluto barricare la mia casa di ponderosi volumi, hardcover, paperback, dare interviste, pontificare sulla guerra in Medio Oriente, sulla questione delle barriere doganali, l’influenza suina, la musica house. E poi dare consigli a giovani autori, godermi un po’ di ammirazione e dediche sui frontespizi dei freschi di stampa. E invece per mancanza di talento, di fortuna, di amicizie giuste e per la necessità di impegnare la gran parte del mio tempo a portare a casa la minestra questo desiderio è rimasto incastonato al fondo della lista dei To Do (One Day). Continuo a inzeppare taccuini di scrittura fitta e ispirata che rimarrà pubblicata in quell’unica copia.
Intanto ho scoperto un territorio piuttosto nuovo, ancor più ignobile della scrittura di genere, più basso della poesia delle cartine dei Baci Perugina. Faccio il digital storyteller per ragioni di marketing. Creo personaggi che vivono sulla rete, racconto storie per coinvolgere lettori che grazie a un abile gioco di gambe e un dribbling semantico-commerciale dovrebbero diventare consumatori. Quelli di cui scrivo sono personaggi che vivono soprattutto sui social network. Creo conversazioni con la finzione, sfrutto nella maniera più onesta possibile quella che il poeta inglese Coleridge chiamava la momentanea sospensione dell’incredulità. Sono un cane, un adolescente innamorato, una donna precipitata dal futuro: vuoi far due chiacchiere con me?
Narrazioni parallele
Il paradosso è che questo tipo di narrazione funziona molto bene nella promozione dei libri. Prima ancora che il romanzo esca nelle librerie uno o più personaggi cominciano a far capolino su Facebook o in un blog e cominciano a lanciare segnali. Sia chiaro, non sono anticipazioni da ufficio stampa. Sono vere e proprie narrazioni parallele, incentrate soprattutto sul dialogo. Un dialogo che contempla, da una parte uno dei personaggi del libro in questione, dall’altra i navigatori. Un po’ come le cene con delitto, nelle quali tra una portata e l’altra attori mescolati tra il pubblico coinvolgono in una indagine di vago sapore simenoniano. Attraverso l’interazione con i potenziali lettori l’esperienza narrativa si amplifica, la conversazione si potenzia. Se è vero che la lettura di un libro è un’esperienza tra le più solitarie, è anche vero che l’emozione che provoca è tra le più condivisibili.
È bello parlare di libri, scambiarsi opinioni. I più evoluti confezionano recensioni e persino riscritture. Questo tipo di approccio funziona anche con altri prodotti, non solo con i libri. Purché il protagonista sia disposto ad ascoltare e ad adattarsi. Per favorire il dialogo si deve fare leggero, quasi impalpabile. Si limita a gettare qualche segnale e ad aspettare che qualcuno risponda, reagisca. È un po’ come trasformarsi in Godot. Non sei presente e tuttavia sei protagonista delle conversazioni. Nelle prima pagina del suo manuale per scrittori Vincenzo Cerami suggerisce come sia l’evocazione l’arma più forte. Non dire, lascia immaginare, lascia che siano i tuoi lettori a completare la storia.
Riproduzione e sacralità
Lo aveva detto Walter Benjamin: se grazie alla riproducibilità tecnica, alle opere d’arte levi quell’aura di sacralità che le circonda, capita che la gente voglia metterci le mani. E come la riproduzione inkjet del Ratto delle Sabine di Rubens può finire nella cabina di un camion accanto al calendario delle carburatoriste (altrettanto rosee e polpose) lo stesso può accadere con la letteratura. E la letteratura si è confrontata con la sua riproducibilità tecnica ben prima dell’arte figurativa. Fin da quando Aldo Manunzio, tipografo in Venezia a cavallo tra il XV e il XVI secolo, con le sue Aldine aveva dato il via ai libri tascabili. Così i lettori hanno cominciato a leggere in viaggio, sulla spiaggia, sull’autobus, lasciandosi distrarre, immaginando, piegando le orecchie delle pagine per tenere il segno, segnando sui margini bianchi le note, sottolineando le frasi più toccanti che spesso vengono riprodotte sui diari e negli status di Facebook. Su Facebook la narrativa ha trovato un campo di gioco che coinvolge e diverte.
La narrativa che prevede interazione ha molti punti in comune con il lavoro del ghost writer politico. Dell’ormai mitico Jon Favreau (classe 1981), capo speechwriter della Casa Bianca, Obama dice che è un “mind reader”. Insomma la sua miglior qualità è quella di calarsi nei panni del suo personaggio. La qualità di ogni buon scrittore di fiction. Dunque un personaggio è un personaggio, poco importa se si chiami David Copperfield o se sia un giovane avvocato afroamericano che ha avuto la ventura di essere il primo presidente di colore degli Stati Uniti. Per davvero. Lo scenario è pirandelliano: i personaggi (e dunque la narrazione) escono dal quello che avevamo considerato il loro contenitore naturale e scendono per strada, parlano alla gente e alla gente rispondono. Non sono più fissati, eternamente, dall’inchiostro sulla carta. Diventano sensibili. Si modificano, crescono, reagiscono, pur cercando di mantenere una certa coerenza. La coerenza è la chiave di volta.
Interazione
Nella creazione di personaggi interattivi definire gli elementi che li rendono coerenti agli occhi degli “utenti” è più importante che per i personaggi della letteratura. Non si sa mai in quali direzioni l’interazione con gli utenti possa portare. È dunque necessario indossare un vestito sempre ben visibile e riconoscibile. Perché alla fine le fila della linea narrativa sta nelle mani degli stessi lettori. Non più passivi contemplatori dell’arte ipnotica del narratore ma attivi, pasticcioni, creativi e vitali. Certo per i puristi della letteratura questo discorso avrà fatto accapponare la pelle e da qualche parte si levano volute di fumo che preannunciano la preparazione di roghi. Finora il gioco ha coinvolto la letteratura dei bestseller da una stagione. Ma la tentazione di far due chiacchiere chez Swan è forte. Basterebbe trovare un produttore di madeleine abbastanza illuminato…