I sistemi possono essere leggeri o pesanti. Aperti o chiusi. Basati sul controllo oppure sul comportamento autonomo dei componenti. Linux è leggero e aperto, cresce e migliora in base a quanto fanno quelli che lo usano. Windows è pesante, chiuso, si sviluppa secondo logiche aziendali a cui l’utente deve adattarsi.
Il gioco e il riso sono sistemi flessibili, aperti, comunicativi. Un volto serio è chiuso in se stesso, un volto sorridente è aperto agli altri. Secondo una definizione di Marshall Mc Luhan, il gioco è quel grado di libertà che fa girare un meccanismo ruotante. Se non c’è gioco fra la ruota e il perno, la ruota non gira.
I sistemi chiusi e basati sul controllo tendono a implodere, come raccontò Roberto Vacca nel suo famoso romanzo “Il Medioevo prossimo venturo”. Quando un sistema diventa troppo grande e troppo complesso, non è più governabile. Quindi si deve ricorrere ad altri metodi, da cercare in campi diversi, nelle teorie dei giochi e del caos, nelle simulazioni, nelle pratiche che lavorano sull’inconscio, sullo psicofisico.
I nemici del riso sono il potere, le istituzioni, il denaro, gli integralisti, le gerarchie. Umberto Eco ne ha fatto il tabù del suo best seller “Il Nome della Rosa”.
Gli amici del riso sono Putai (il Buddha ridente), Bergson che ci ha scritto sopra un saggio, gli anarchici (una risata vi seppellirà), Franti del Libro Cuore, su cui lo stesso Eco ha scritto un piccolo saggio.
Laughter yoga
Tempo fa ho partecipato a un seminario organizzato da Laura Toffolo, responsabile del Laughter Club di Roma. È stata un’esperienza straordinaria. Non avevo mai riso tanto in vita mia, e senza nessun motivo. Ho imparato a ridere di me, della vita, delle persone che ho intorno, delle cose che faccio. Ora ogni mattina, o anche durante la giornata, mi faccio delle belle risate di cuore.
Fra chi mi legge, quanti la mattina si fanno una bella risata, piena, sussultante? Così, senza nessun motivo, facendo sgorgare il ridere da dentro di sé?
Madan Kataria è un medico indiano che dieci anni fa ha avuto l’idea di usare il ridere come energia terapeutica e rigenerante del corpo e dello spirito. Con una sapiente miscela fra pratiche della tradizione yoga ed esercizi specifici per ridere, Kataria è in grado di far ridere senza nessun motivo gruppi di persone più o meno grandi, dalle 15 alle 10.000, come è avvenuto in una piazza di Amsterdam.
Nonostante il gran ridere, l’Hasya Yoga, o yoga della risata, è una cosa serissima. È una forma di respirazione e di meditazione yoga facile da praticare, divertente, efficace. Agisce sul sistema nervoso e su quello immunitario, sulla gola, sui polmoni, mette in moto le endorfine. Funziona con bambini, adulti, anziani, portatori di handicap. Un argomento chiave è che da analisi scientifiche l’organismo, dal cervello allo stomaco, non sa se ridiamo per una ragione o senza motivo, e si comporta sempre nello stesso modo. È un po’ come per il respiro. Se sono agitato respiro più in fretta, ma se rallento il respiro, automaticamente mi calmo.
Da bambini si ride in media 400 volte al giorno, da adulti 15, secondo studi citati dal dottor Kataria. Che cosa è andato storto? Dove sono tutte le risate che abbiamo perso crescendo? Per ritrovarne qualcuna, cerchiamo di tornare bambini, leggeri, flessibili, creativi. Pigliamocela a ridere. Anche senza motivo.
Ma come si fa a ridere senza nessun motivo? Spesso non riusciamo a ridere neanche di fronte ai comici della tv, tante barzellette non ci fanno ridere, giornali e telegiornali sono pieni di notizie cupe.
Dice Kataria: “C’è una risata esterna, che ha bisogno di stimoli esterni, ed una interna, che porti dentro di te, che c’è sempre, che solo tu puoi risvegliare e spargere intorno a te”. Il suo metodo consiste proprio nel ritrovare e tirare fuori questo ridere interno. Come? Con esercizi da fare in gruppo o anche da soli. Sono facili? Sì. Funzionano? Sì. Già nel secondo giorno del seminario ho riso molto di più, e con più naturalezza.
Come si fa? La cosa migliore è andare in qualche laughter club (sono sparsi in tutto il mondo) e provare. E proprio con i laughter club entriamo nel tipo di organizzazione che possiamo ascrivere al chaos management.
Chaos management
Sia il metodo di Kataria, sia la sua organizzazione internazionale, si basano su pochi elementi e sul riconoscere un massimo di autonomia a tutti quelli che fanno parte del mondo del laughter yoga.
Per diffondere la sua pratica, Kataria tiene seminari di due giorni o corsi di una settimana con cui si acquisiscono le tecniche e i principi utili a costituire e gestire un club. Chiunque abbia seguito i suoi corsi può aprire un club, senza nessuna pratica burocratica. Basta che si attenga a certi principi.
In tal modo Kataria ha ridotto al minimo il controllo, e ha diffuso al massimo i club, che ora sono circa 3.000 in tutto il mondo. Internet ha fortemente contribuito a diffondere e mettere in relazione i club.
Kataria ha cominciato la sua avventura in un parco pubblico, dove invitava le persone a ridere un po’ con lui. Dei 400 frequentatori abituali del parco, solo alcuni hanno accettato l’invito, e dopo un po’ erano guardati con stupore e perplessità dagli altri, perché ridevano! All’inizio per ridere raccontavano barzellette. Solo che dopo un po’ di sedute le barzellette erano finite, molte barzellette non piacevano o non venivano capite. Da lì Kataria ha distinto il riso come risposta ad uno stimolo, dal riso come pratica, come atteggiamento autonomo, generato da una sorgente interna, non esterna. Ma dove prendere pratiche di controllo e sviluppo del respiro, della voce, della mente e del corpo? Naturalmente dallo yoga. Nasce così l’idea risata più yoga, che pian piano si diffonde in modo naturale, come dovrebbe essere naturale ridere.
Sia per praticare lo yoga della risata, sia per costituire e gestire un laughter club, Kataria dà pochissime direttive.
La pratica individuale quotidiana parte da due esercizi di respirazione profonda, poi c’è l’esercizio “ho ho ha ha”, che induce fisicamente al ridere, qualche risata stimolata, relax. Nei club o in gruppo si possono fare alcuni giochi che inducono al ridere.
I principi sono tre. Quando qualcosa ti va male o non è come vorresti, fai “ah ah ah”. Se pensi che le cose dovrebbero cambiare, perché così proprio non vanno, cambia tu. La grande risposta alle domande difficili che ti possono fare è “non lo so”. Solo con queste tre cose sei leggero, entri ed esci dalle situazioni come vuoi, accetti i tuoi limiti, se non sai una cosa non vai in crisi, ma cerchi intorno, non ti nascondi, lo dici apertamente.
Anche per aprire e gestire un laughter club, le direttive sono poche e semplici. No profit, no politics, no religions, no rules (sono tutte cose che non fanno ridere). Se la gente viene e ride, funziona, se no, no. Se al di fuori del club uno vuole guadagnare soldi con le tecniche apprese, può farlo, purché il business sia tenuto fuori dal club.
Durante il seminario, una partecipante ha chiesto: “quanti sono i laughter club nel mondo? Nel libro si parla una volta di 1.400, un’altra di 1.500, voi dite che sono 3.000. Qual è il numero giusto?” Risposta di Kataria: “Non lo so. Io non controllo tutti i club, che non sono obbligati a comunicarmi la loro esistenza. Da un mese all’altro si moltiplicano. Se ti fa più piacere pensare a 1.500 club, va bene. Se preferisci pensare che siano 3.000, va bene lo stesso”.
Ecco il chaos management! Mettere in moto qualcosa con pochissime e semplici leve di cambiamento. Poi lasciar partire le iniziative personali senza la pretesa di controllare tutto. L’importante è partire da principi dinamici, semplici, condivisibili.
Open source
Lo yoga della risata funziona con lo stesso criterio dell’open source informatico. Invece di blindare il software in codici chiusi, licenze, diritti, e di combattere dure battaglie per difendere i propri territori, Linus Thorwald ha aperto tutto, e ne è nato il fenomeno Linux, rapidamente diffusosi in tutto il mondo, e diventato sempre migliore grazie all’apporto libero e gratuito di innumerevoli sviluppatori. Thorwald non controlla niente. Dal singolo sviluppatore alla Sun Microsystems ognuno si muove come vuole. Ma Linux, Sourceforge, Gnu, Wiki, Open Office, sono realtà che si vanno ampliando continuamente, e che cominciano ad impensierire i colossi del software chiuso.
Anche Kataria non pretende di controllare e difendere nulla. Chi vuole partecipare ai suoi seminari paga una quota, come avviene per qualsiasi corso, e Kataria si fa pagare per insegnare le sue tecniche, così come fa Thorwald quando va in giro a fare conferenze e consulenze. Ma poi se qualche discepolo vuole mettersi a far ridere altre persone, aprire un club, usare lo yoga della risata per curare persone depresse, può farlo liberamente, senza pagare royalties. Dice Kataria: “Non è importante farsi dare subito dei soldi. La cosa che conta è far circolare le idee e le pratiche, i soldi poi arrivano da soli. La gente paga per qualcosa di cui ha sentito parlare, da un amico, dalla televisione, dai giornali. Io ora sono molto conosciuto. Quindi se voi dite alle persone di venire a vedere che cos’è un incontro in un laughter club, diffondete la conoscenza del metodo e di voi stessi. E prima o poi riuscirete anche a vendere una prestazione professionale a qualche organizzazione”.
Chi organizza un laughter club lo fa per sua libera iniziativa e per la voglia di condividere con altri le tecniche apprese. Le riunioni sono gratuite. I partecipanti contribuiscono solo alle spese del locale e di eventuali rinfreschi. Se la riunione si fa in un parco, non c’è nessuna spesa.
Come per l’open source, proprio il fatto che i club siano gratuiti impone che chi vi partecipa senta la responsabilità di contribuire alle spese.
Se con la notorietà e l’esperienza acquisita nel laughter club si vogliono fare consulenze e corsi retribuiti per aziende, professionisti, organizzazioni, lo si può fare, però al di fuori del laughter club, che deve restare gratuito. Anche in questo caso c’è affinità con il mondo dell’open source. Chi usa Linux per gestire un server ovviamente si fa pagare, quindi intorno all’open source c’è tutto un indotto economico che diventerà sempre più importante. Tuttavia la filosofia open resta intatta, e fa da motore alle professionalità che ne scaturiscono.
Nel mondo virtuale del software e del Web, e in quello reale delle organizzazioni, stanno nascendo modelli organizzativi nuovi, leggeri, autoregolantisi, basati su poche regole semplici ma capaci di generare grandi complessità.
Il nostro impegno di studiosi, consulenti, formatori sarà dunque quello di trovare i modi di trasferire questi modelli e queste tecniche nel mondo rigido, grigio e iperstrutturato dell’impresa, dell’organizzazione pubblica, della società in genere, che mostrano sempre più di essere inadeguate a gestire turbolenze, complessità, ingovernabilità di crisi sistemiche.