Dopo l’avvento del World Wide Web, in tanti avevano immaginato che l’e-democracy avrebbe rivoluzionato le democrazie, così come l’e-commerce aveva rivoluzionato la prassi degli scambi e gli stili di vita dei consumatori. Ma ciò, finora, non è successo: studenti, organizzazioni non profit, giornalisti e semplici cittadini che vogliano dare un contributo al funzionamento del proprio governo sono ancora esclusi dal processo decisionale. Anche se siamo ormai nel XXI Secolo, la gran parte degli Stati occidentali è ancora organizzata secondo modelli tipici dell’era industriale: allora la società richiedeva strade, fognature, rete elettrica, ferrovie; di conseguenza, crebbero il settore pubblico e la relativa spesa e si resero necessarie un’organizzazione sempre più pesante, nuove strutture e procedure complesse. Queste procedure erano costruite attorno alla concezione paternalistica secondo cui solo i burocrati – scelti dal Re – erano in grado di compiere le scelte adatte a perseguire il pubblico interesse; nessun diritto per gli individui (sudditi) ma solo obblighi, come quello di pagare le tasse.
Con il passare degli anni e l’avvento della democrazia, non si è assistito a un’evoluzione dei modelli organizzativi di pari passo al mutamento delle esigenze della società e non è cambiato neanche il rapporto delle amministrazioni con gli individui, nel frattempo diventati cittadini. Gli enti hanno continuato a vederli con diffidenza (quasi come una controparte), tenendoli a distanza e limitando la loro possibilità di azione in recinti ben determinati (il voto, la partecipazione ai procedimenti amministrativi che li riguardavano). E le cose non sono cambiate neanche quando, negli ultimi anni, i governi hanno introdotto l’uso dell’informatica (e del web) nei loro processi, conservando però i vecchi modelli organizzativi e schemi burocratici (e-voting, e-participation). Questo ha impedito di conseguire molti dei vantaggi attesi.
Da suddito a risorsa
In quest’ottica, il movimento dell’Open Government rappresenta un punto di rottura rispetto all’uso che le amministrazioni hanno fatto fin qui del web. L’intuizione che sta alla base di questa rivoluzione copernicana è che la vera potenzialità di internet non sia quella di mettere in contatto le persone con la politica, ma di dare la possibilità di far parlare i cittadini tra loro, in modo da consentire di aiutarsi reciprocamente e di cooperare con il proprio governo. Il cittadino non è più visto come un suddito (che deve subire passivamente le decisioni prese nel Palazzo) né come una controparte (da cui difendersi con incomprensibili cavilli) ma come la più preziosa delle risorse, come un partner cui chiedere aiuto. Non è un caso che in uno dei primi discorsi della sua Presidenza, Barack Obama – il primo a trasformare in prassi la dottrina dell’Open Gov – si è rivolto ai cittadini dicendo di volerli arruolare tutti in questa nuova sfida per renderli «gli occhi e le orecchie» della sua amministrazione.
Il coinvolgimento dei cittadini nel processo decisionale è innanzitutto un tema etico per una democrazia, ma consente di raggiungere notevoli benefici anche in termini di maggiore efficienza delle scelte e di uso più attento delle risorse pubbliche. Questi livelli di partecipazione, impensabili solo fino a qualche anno fa, sono possibili grazie al web 2.0 che fornisce piattaforme interattive per la condivisione dei dati e la collaborazione tra governo e cittadini, in modo differente dai siti non interattivi (i cosiddetti one way portal) in cui gli utenti possono visualizzare le informazioni solo passivamente. Grazie a questi strumenti è possibile per i cittadini, ad esempio, segnalare via internet (oppure dal proprio cellulare) disagi e disservizi, in modo che l’intervento dell’amministrazione sia più rapido e tempestivo, perché non esistono sistemi di monitoraggio altrettanto capillari ed efficaci. Uno dei primi siti di questo tipo è stato l’inglese FixMyStreet, ma anche nel nostro Paese cominciano a esserci esperienze simili come E-part o l’illuminato progetto Iris del Comune di Venezia.
Intelligenza collettiva
Se poi l’uso degli strumenti 2.0 si abbina alla liberazione dei dati pubblici (i cosiddetti Open Data), i cittadini – oltre a essere in grado di valutare la bontà dell’operato dei propri amministratori – possono partecipare alle scelte e alle decisioni prese dal proprio governo. I cittadini della municipalità di Pune, in India, già da anni, possono fare le loro proposte per il bilancio anche attraverso il web e un’analoga esperienza è stata condotta a Friburgo, in Germania. A seguito della catastrofe petrolifera nel Golfo del Messico, negli Stati Uniti è stato realizzato un sito, che non contiene soltanto informazioni aggiornate sull’emergenza, ma ha un’apposita sezione dedicata ai suggerimenti forniti da chiunque creda di avere una soluzione per risolvere questo gravissimo problema. Chiunque può indicare, attraverso una semplice form, un possibile rimedio che sarà esaminato dalle autorità competenti e dalla British Petroleum: solo nelle prime due settimane, sono arrivate circa 8.000 proposte, molte delle quali da qualificati esperti e centri di ricerca: un patrimonio di inestimabile valore generato a costo zero grazie al web.
Le amministrazioni sono in possesso di una vasta quantità di dati che potrebbero essere riutilizzati e combinati in modo innovativo da parte di soggetti terzi. Si tratta di un passaggio di centrale importanza, che può essere ben compreso esaminando una delle prime esperienze di ricorso all’intelligenza collettiva realizzata negli Stati Uniti. L’iniziativa Apps for Democracy, lanciata dal District of Columbia nel 2008, è un concorso a premi per le migliori applicazioni realizzate con dati forniti dagli enti pubblici: in trenta giorni e con lo stanziamento di 50.000 dollari per i premi, sono state sviluppate ben 47 applicazioni (web, iPhone, Facebook ecc.) che sarebbero costate 2,3 milioni di dollari se l’amministrazione avesse deciso di provvedervi direttamente. Sull’esempio statunitense, diversi altri Paesi stanno avviando iniziative analoghe, contribuendo a sviluppare interessanti applicazioni che consentano a tutti i cittadini (anche quelli non esperti) di poter utilizzare e rielaborare le informazioni pubbliche.
Civic hacking
La funzione del governo diventa, quindi, quella di fornire dati e servizi, permettendo a chiunque sia interessato di utilizzare quei dati per la collettività e consentendo notevoli risparmi rispetto al tradizionale modo di sviluppare siti e applicazioni all’interno delle pubbliche amministrazioni (ricordate le vicende legate alla prima versione del portale Italia.it?). L’Open Data è, inoltre, in grado di migliorare l’efficienza del settore pubblico trasferendo alcune funzioni di analisi dell’amministrazione a terzi (come le organizzazioni non governative, istituti di ricerca e imprese) che sanno combinare e usare i dati in modo originale e creativo. Un esempio di quello che prende il nome di civic hacking è rappresentato da Where does my money go?, iniziativa di una fondazione non-profit inglese, il cui sito Web, nato grazie alla liberazione dei dati del governo britannico, fornisce informazioni di alta qualità sulla spesa pubblica delle amministrazioni centrali e regionali.
L’Open Govenrment è un’opportunità concreta di ottenere, attraverso la rete, un’amministrazione più efficiente e una migliore democrazia. Quest’opportunità, però, può essere colta solo a patto di comprendere che il vero cambiamento è fuori dal Palazzo e che la vera innovazione non è nelle tecnologie.