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Open data, anche l’Italia libera i dati pubblici

18 Ottobre 2011

Open data, anche l’Italia libera i dati pubblici

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Oggi l'annuncio del ministro Brunetta: un portale nazionale, una guida operativa per tutte le amministrazioni pubbliche e un concorso per applicazioni che valorizzino il patrimonio di dati pubblici

La notizia è eclatante e, a suo modo, storica: il governo italiano sta presentando in queste ore la sua strategia in materia di open data. Sebbene con grande ritardo rispetto ai più illuminati paesi che già da due anni hanno avviato progetti in tal senso, anche l’Italia abbraccia finalmente la pratica di rendere i dati delle agenzie pubbliche accessibili a tutti sul web, in formato aperto, senza restrizioni di copyright, brevetti o altre forme di controllo che ne limitino la riproduzione.

La via italiana

La via italiana all’open data si sviluppa su tre livelli di azione. Il primo è la creazione di un portale nazionale dei dati pubblici (www.dati.gov.it). Attraverso questo strumento, cittadini, sviluppatori, imprese, associazioni di categoria possono usufruire dei dati aperti del settore pubblico. Il secondo è la pubblicazione di un vademecum indirizzato a tutte le pubbliche amministrazioni (centrali, regionali e locali) in cui viene incoraggiata l’adozione di politiche di apertura dei dati pubblici e vengono indicati gli aspetti tecnici, organizzativi e giuridici da affrontare per rendere rendere disponibili i dati dell’amministrazione. Il terzo è Apps4italy, un concorso aperto a cittadini, associazioni, sviluppatori e aziende per progettare applicazioni utili e interessanti basate sull’utilizzo di dati pubblici, in modo da dimostrare a tutta la società il valore del patrimonio informativo pubblico.

La “liberazione” dei dati pubblici risponde a molteplici finalità. Rendere l’amministrazione trasparente, attraverso la diffusione delle informazioni relative al suo funzionamento (in particolare quelle relative alla spesa pubblica). Migliorare la qualità della vita dei cittadini, che possono liberamente riutilizzare le informazioni (si pensi alla diffusione dei dati relativi alla criminalità). Dare impulso all’economia dell’immateriale, poiché i dati prodotti e detenuti dalle pubbliche amministrazioni (basti pensare ai dati cartografici) sono una preziosa – e finora sottovalutata – risorsa per la crescita economica e la creazione di posti di lavoro.

Non è una moda

L’iniziativa appena avviata dal ministro Brunetta rappresenta il primo mattone nell’adesione alla dottrina dell’open government (letteralmente “governo aperto”), secondo cui l’amministrazione deve essere trasparente a tutti i livelli e consentire un controllo continuo del proprio operato mediante l’uso delle nuove tecnologie. Non è un’idea nuova: un’amministrazione che intavola una costante discussione con i cittadini, in modo da sentire quello che hanno da dire, e che prende decisioni basate sulle loro necessità. Tutto questo, che era già auspicabile per un’amministrazione tradizionale, oggi diventa possibile grazie alle nuove tecnologie in modo da combattere inefficienze e corruzione nel settore pubblico.

A partire dalla Direttiva Obama, che nel dicembre 2009 ha segnato il passaggio dalla teoria alla prassi, un numero sempre crescente di paesi ha compreso le opportunità di far leva sull’innovazione e sulla diffusione delle informazioni e della conoscenza, approfittando proprio della crisi economica globale. In modo assai veloce si è sviluppato un movimento che ha visto governi e società civile usare le stesse parole: trasparenza, partecipazione, collaborazione. Questo movimento cresce velocemente perché amministrazioni e cittadini ne percepiscono ben presto i vantaggi e diviene una buona prassi tanto anche l’Onu (nel suo rapporto sullo stato dell’e-government nel mondo) ha raccomandato l’adozione di modelli amministrativi di questo tipo.

Anche l’Onu

Nel mese di settembre, in occasione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, è stato avviato un importante progetto denominato Open Government Partnership, una vera e propria alleanza mondiale per l’open government. La Partnership ha alla base una dichiarazione molto importante in cui si legge:

Accettiamo la responsabilità di cogliere questa occasione per rafforzare i nostri impegni per promuovere la trasparenza, combattere la corruzione e consentire ai cittadini di sfruttare la potenza delle nuove tecnologie per rendere il governo più efficace e responsabile.

Ci impegniamo con i cittadini per migliorare i servizi, gestire le risorse pubbliche, promuovere l’innovazione e creare comunità più sicure. Abbracciamo i principi della trasparenza e dell’Open Government al fine di conseguire prosperità e benessere.

Il progetto vede la leadership degli Stati Uniti, ma è significativo che tra gli otto paesi del comitato promotore vi siano paesi emergenti come Messico, Brasile, Indonesia e Filippine: tutti abbiamo eguale bisogno di un governo aperto e non è detto che i paesi economicamente più forti siano i più virtuosi. L’Open Government Partnership è però un progetto aperto (non avrebbe potuto essere diversamente) e tutti i paesi che  rispettino determinati requisiti (ad esempio in materia di trasparenza) e si impegnino in tal senso possono aderire in vista delle future iniziative. Anche il governo italiano lo ha fatto e l’avvio dell’operazione Dati.gov.it si inserisce proprio in questo solco.

Un punto di partenza

L’avvio di un’organica strategia di open data nel nostro Paese è sicuramente importante, ma non può in alcun modo essere concepito come un punto di arrivo. Amministrazioni, associazioni, cittadini e imprese dovranno dimostrare di essere all’altezza di una sfida così difficile e stimolante. Il governo, innanzitutto, dovrà evitare che l’operazione Open Gov si trasformi in un “evento spot”; il Ministro Brunetta dovrà lavorare ancora di più quando i riflettori sull’iniziativa si saranno spenti, affrontando le resistenze, aprendosi al dialogo e alle critiche, stimolando gli uffici più restii ad aprire i propri dati. Sotto questo profilo, è auspicabile che accada quanto già successo in tanti altri paesi, dove i diversi enti pubblici hanno iniziato a farsi una (lodevole) concorrenza sulla quantità e qualità dei dati liberati.

Deve cioè passare il concetto per cui c’è buona amministrazione solo se c’è trasparenza e apertura;  devono, al contrario, essere vinti tutti quei freni che finora hanno fatto dell’Italia una delle democrazie meno trasparenti e più corrotte del mondo. L’avvio di una strategia nazionale di Open Data rappresenta una vittoria per il variegato movimento “open” italiano. Negli ultimi due anni, numerosi enti e associazioni hanno lavorato aggregando tecnici, civil servant, giuristi, sociologi e semplici cittadini; dal basso, sono state organizzate numerosi iniziative volte a ottenere che anche nel nostro Paese scoppiasse quella che viene definita l’Open Data Revolution, vale a dire lo sconvolgimento dei concetti tradizionali di governo e di cittadinanza grazie all’apertura dei dati pubblici.

Tocca alla comunità

Questo movimento, adesso, non deve considerare conclusa la propria attività, tutt’altro. La comunità deve diventare partner e, quando serve, contraddire l’amministrazione, cercando di comprendere le cose che non funzioneranno (all’inizio è possibile), ma continuando a essere sprone nel proseguire sulla strada intrapresa, inchiodando il governo al rispetto degli impegni presi dinanzi all’opinione pubblica. Anche cittadini e giornalisti dovranno fare la loro parte, utilizzando i dati pubblicati, verificandone l’attendibilità e l’esattezza, pretendendo a tutti i livelli di conoscere e di essere considerati collaboratori, non sudditi. C’è infine bisogno di imprese che capiscano il potenziale economico dei dati del settore pubblico e li sfruttino per fare business e far decollare, anche in Italia, l’economia dell’immateriale.

Insomma, l’apertura di Dati.gov.it, il Vademecum e Apps4Italy sono un passaggio di cruciale importanza, ma guai a illudersi di aver già completato l’opera: dobbiamo dimostrare di essere pronti per la rivoluzione che inizia oggi. Come dice Jonathan Gray, «i dataset non cambiano il mondo, le persone lo cambiano».

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