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Onesti per legge, nuove regole per i blogger

09 Ottobre 2009

Onesti per legge, nuove regole per i blogger

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Se i blog sono strumenti potenzialmente efficace di comunicazione promozionale, gli abusi e le manipolazioni sono un pericolo concreto. Negli Stati Uniti, la Federal Trade Commission ha deciso di far sentire la sua voce

Lo sappiamo tutti benissimo: i blogger fanno gola alle aziende – o almeno alle aziende più “smart”, quelle dal 2.0 in poi. Le altre, la maggioranza, sono ancora ferme alla release 0.0 della Rete e ne ignorano bellamente l’esistenza. Tanto che un numero impressionante di aziende non usano Internet perché lo ritengono inutile. Tornando però alle aziende più avanti, quelle che probabilmente faranno il futuro del business, di fronte a una crescente difficoltà di comunicare con i media tradizionali, lo sguardo si volge ai media alternativi. O, per dirla più correttamente, agli strumenti che si stanno rivelando in grado di comunicare efficacemente con il pubblico.

Non facciamoci prendere dall’entusiasmo locale: la percentuale degli italiani che usa/legge i blog regolarmente non è oceanica. Si tratta tuttavia di un pubblico tutto sommato numeroso (qualche milione?) e di profilo relativamente alto. Non forse la casalinga di Voghera, ma probabilmente un pubblico con caratteristiche sociodemografiche tali da essere appetibile per molte aziende. E un pubblico che, almeno in parte (non illudiamoci, non è la maggioranza degli italiani) ha metabolizzato il desiderio di essere coinvolto in un marketing più conversazionale. Persone che spesso ritengono comunque accettabile essere oggetto di comunicazione aziendale, di ricevere informazioni e stimoli: ma in un modo diverso e al di fuori di mass media la cui credibilità e appetibilità è messa in discussione.

Basti pensare al degrado globale della Tv generalista, sempre più inguardabile per persone appartenenti a certe culture e stili di vita. Con forse un piano di degrado ulteriore, dove la “qualità” sarà applicata al digitale terrestre a pagamento e al satellite: mentre il “free on air” il digitale gratuito, si ripiegherà probabilmente a coprire fasce di pubblico di livello sempre più basso (e quindi pubblicitariamente di dubbio interesse per molti inserzionisti) con prodotti economici e geriatrici.

Il blog come opportunità

Di qui una crescente spinta a esplorare l’uso dei blog per parlare a queste persone di più alto livello o casta, anche se da più parti si inizia a vaticinare la morte dei blog, sostituiti dal microblogging – benché, come nel caso di Mark Twain, penso si tratti di una notizia abbastanza esagerata. Me ne rendo conto anche dalle piccole ma continuamente crescenti statistiche del mio blog, che devo ammettere è dopato dall’integrazione con Twitter, Facebook e Friendfeed.

Lo confesso, sono parte in causa anche in questo processo di adozione dei blog da parte delle aziende. Quello che vedo è che molte imprese stanno capendo che i blog sono potenzialmente interessanti. Una certa parte di queste capisce che la strada giusta forse non è creare un proprio blog, ma usare blog esistenti, dotati di una credibilità e di un seguito. All’interno di una cultura che ha sempre usato in modo commerciale i mezzi di comunicazione, la tentazione di provare a strumentalizzare blog e blogger è, inutile nasconderlo, forte. Ed è pericolosa: difficile conciliare credibilità del blog e del blogger che c’è dietro con la diffusione di messaggi artatamente promozionali, non trasparenti, violando quella accountability e quella authenticity che continuiamo a evidenziare come basi di un seguito mediatico di questi tempi.

Senza entrare troppo nel dettaglio, strade di cooperazione (e non di strumentalizzazione) esistono, sono state testate e hanno portato spesso risultati – quando l’interesse dell’azienda, del blogger e del pubblico vengono fatti coincidere, quando ad esempio una fame di informazione specializzata da parte del pubblico (noi) viene soddisfatta attraverso contenuti diffusi da un blogger (spesso uno di noi). Parliamo di contenuti magari esclusivi, interessanti, affascinanti, utili forniti da un’azienda che non si butta a fare promozione ma preferisce fare conversazione e servizio. In questi casi il cerchio si può chiudere con grande soddisfazione di tutti.

Questa non è però una strada facile, per molte aziende è addirittura impossibile (sebbene non manchino ottimi esempi, anche in campo “tradizionale”, anche in Italia). Come conseguenza sono nati progetti, usi e costumi di cooptazione dei blogger meno inossidabili e puristi: progetti che strumentalizzano il blogger, che promuovono la pubblicazione dietro compenso. Sono forme di promozione a volte dichiarate, fatturate e trasparentemente esposte al pubblico (pay per post); altre volte restano in una zona grigia poco chiara e al limite della deontologia (ti regalo un prodotto, poi vedi tu se parlarne bene sul tuo blog…).

Multe o minacce

Noi italiani, abituati come siamo a una cultura in cui corruzione, favori, amnistie e sanatorie, inciuci e manipolazioni sono uno stile di vita nazionale, l’onestà dei blogger sembra suscitare poca risonanza al di fuori dei circoli specializzati. In altri paesi, dove almeno idealmente la trasparenza e l’onestà sono un pilastro del comportamento pubblico, i blogger e le loro commistioni stanno entrando nel mirino. Non solo Google è stato protagonista di penalizzazioni nel ranking dei blog pay per post: negli Stati Uniti si è mossa perfino la Federal Trade Commission, l’organo statale molto potente nei confronti dei mass media, quello per capirci che ha comminato una pesantissima multa per la tetta – pardon, per il “wadrobe disfunction” – di Janet Jackson esposta in diretta durante il Superbowl del 2004. Insomma un ente che da noi non solo non esiste, ma che suscita amarissime risate quando lo si racconta.

Bene, la FTC – nel suo compito di protezione dei consumatori da pratiche commerciali scorrette – adesso ha deciso che non solo i mass media devono aderire a degli standard di comportamento, ma anche i blogger e i tweeters. Specificamente, viene richiesto ai blogger di rendere pubblici (secondo alcune linee guida, e in maniera simile a quanto fanno i giornalisti dei media “tradizionali”) ogni forma di pagamento, omaggio o campione gratuito ricevuti in cambio di un endorsement di prodotti o servizi. La spada di Damocle è un multone di oltre 10.000 dollari per ogni violazione constatata.

E proprio qui mi casca un asino sul blog. Sarà interessante capire come beccare il blogger con le mani nel sacco, visto che di blogger ce ne sono a milioni, molti dei quali fuori della giurisdizione statunitense. Probabilmente si chiuderanno gli occhi sui piccoli casi per concentrarsi invece su quelli grandi e scandalosi. Una regolamentazione, comunque, che dovrebbe trovare favorevoli i comunicatori seri e professionali, nonché trovare il supporto della Word of Mouth Marketing Association, l’associazione dei buzz markettari che condivide un etico molto allineato con le previsioni della FTC. Una forma di regolamentazione, dunque, in un settore che culturalmente e ideologicamente é allergico a regole e censure, ma un tentativo di messa in riga che, per una volta, possiamo ritenere positiva in quell’ottica di trasparenza che dovrebbe contraddistinguere la Rete e che potrebbe, almeno in teoria, aiutare la Rete a restare un luogo di conversazione e non di manipolazione. Speriamo bene.

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