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Oltre gli amici, il senso di Facebook per il luogo

10 Maggio 2010

Oltre gli amici, il senso di Facebook per il luogo

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Il social network più popolato del mondo spinge sulla geolocalizzazione. Una scelta che ha ripercussioni interessanti in chiave di web marketing, ma anche riguardo al modo in cui abitiamo la rete

Facebook, probabilmente già da questo mese, assocerà agli status update dei propri utenti la loro localizzazione, creando un connubio tra cose dette e luoghi dalle quali le si dice, tra presenza online e presenza offline. Non sembra essere una novità e la prima considerazione che viene in mente è che esistono diversi sistemi di associazione tra localizzazione e social networking (da Foursquare a Loopt a Gowalla) che consentono di condividere con i propri amici i luoghi in cui ci si trova a transitare o a vivere: da informazioni più generali e astratte come città e vie a informazioni che ci comunicano i comportamenti di consumo, come la presenza in certi ristoranti, pub, cinema eccetera («Terry White checked in at The Sanctuary by IndoChine», «magnus spiik checked in at Beckmans Grill») fino a fornire dettagli su ciò che le persone fanno in questi luoghi («Bernard Gershon picked up a Film Reel at Four Seasons Hotel», «Salim Dao picked up a Margarita at South Point Hotel Casino & Spa»).

Il vantaggio della scalabilità

Eppure ci sono alcuni motivi per i quali conviene osservare con attenzione questo cambiamento annunciato. Il primo è di scala. Non dobbiamo dimenticare che Facebook ha oltre 100 milioni di utenti al giorno che si connettono da applicazioni su telefoni cellulari o strumenti in mobilità, con tempi di permanenza significativi che coprono tutta la giornata. Come dire: la differenza è relativa alla scalabilità di ogni tipo di operazione di marketing che può essere associata ad una relazione fra informazioni, socievolezza online e luoghi reali e, sul versante  auto-organizzativo della popolazione connessa, al potenziale di raccordo tra conversazioni online e azioni nei luoghi di vita che può coinvolgere numeri significativi della popolazione. È vero, ad esempio, che molti marchi hanno già sperimentato la connessione tra social network e localizzazione geografica, ma si è sempre trattato di numeri limitati di utenti: farlo con Facebook significa aprirsi ad una massa critica capace di fare la differenza. Facebook non è Foursquare, e quando McDonald’s (la notizia della collaborazione sembra essere confermata) veicolerà le proprie offerte di Hamburger Angus con il proprio logo associandole alla propria localizzazione, forse ci troveremo di fronte ad una percezione diversa delle possibilità di messa in relazione tra brand e reti di relazioni sociali mediate e connesse.

Non sto però dicendo che Facebook spazzerà via gli altri, non mi sembra questa la sua politica. Immaginiamo il tutto in linea con quanto accade con il progetto Open Graph API, partito con la possibilità di aggiungere il pulsante Like nei siti web e con altri plug in sociali, di fatto, portando i contenuti esterni nello stream degli utenti con un semplice click e collocandosi come rumore di fondo del web, colonizzando in forma sottile attraverso le sue logiche e le sue pratiche. Più facile quindi che le specificità di Foursquare, Gowalla e gli altri vengano sfruttate da Facebook consentendone la fruizione in modo connesso.

Relazioni georeferenziate

Ma se ci lasciamo trasportare dalle possibilità di mettere in relazione la potenza della connessione georeferenziata in mobilità attraverso una piattaforma di social networking, possiamo anche ipotizzare un contesto che darà vita a pratiche diverse: associando momenti del giorno, ad esempio ora di pranzo, e luoghi di transito, prossimità ad un punto vendita, magari mettendoci in relazione con i nostri friend che in quel momento sono in zona, proponendo sconti di gruppo ecc. Allora vedremo come la forma del social network costruito in rete non dia vita solo a comunicazioni tra persone distanti ma diventi una modalità di integrazione con il territorio reale, fisico, prossimo.

Tutte le narrazioni centrate sulla a-spazialità della Rete, proprie degli anni ’90, e i rinvii alla dimensione di globalizzazione, prima, e di glocalizzazione, poi, rischiano di essere spazzate vie da nuovi racconti in cui l’immateriale comunicativo e i rapporti costruiti su internet prendono forma in luoghi non solo sempre più fisici, ma prossimi, vicini, quotidiani. Come leggiamo su AdAge, Ian Schafer, Ceo dell’agenzia di interactive marketing DeepFocus, afferma come questo sia «un’incredibile opportunità per usare il digitale per muovere fisicamente la gente». Ma anche, direi, per diffondere e fare accettare la cultura del check-in automatizzato che rende disponibile la conoscenza dei nostri spostamenti, del nostro risiedere ecc. Certo, probabilmente ci verrà chiesta una disponibilità a condividere informazioni come queste e ci saranno lamentele di gruppi di utenti preoccupati di veder sfruttati i loro contenuti geolocalizzati a fini di marketing. Ma, come ci hanno insegnato molte pratiche relative alla dimensione pubblica dei contenuti dei profili degli utenti di Facebook, la maggior parte delle persone praticherà una realtà in mobilità connessa e pubblicamente geo referenziata (ricordate le vicende legate alle nuove impostazioni sulla privacy?).

Amici per la rete

Le restrizioni nella condivisione dei contenuti con localizzazione distinguerà, poi, nuove cerchie sociali in quel mare magnum rappresentato dalla parola “friend”, che spesso ha valore molto generico e allargato: quanto considero abbastanza amico questo altro profilo per permettergli di conoscere la mia localizzazione in ogni ora della giornata? Oppure: come mai non posso vedere la sua localizzazione? Non mi considera sufficientemente amico?

Un secondo motivo che richiede di osservare con attenzione questo mutamento in chiave geolocalizzata dei contenuti che creiamo su Facebook e sui nostri status update che comunicheranno dove ci troviamo ha a che fare con una trasformazione culturale che tende a far definitivamente collassare la differenza fra realtà fuori dalla Rete e dentro alla Rete: il “a cosa stai pensando?” diventerebbe in automatico anche un “da dove lo fai?”.  Ma in modo più complesso di quanto potremmo immaginare, perché non si tratta solo di pensare a luoghi fisici (location) ma anche comunicativi in senso più allargato, quindi place: siti web, pagine e altre cose da immaginare. E questo mi sembra essere il nodo della trasformazione. Michael Richter, racconta a nome di Facebook in modo chiaro lo spostamento linguistico, che è uno spostamento culturale e di immaginazione, dalla prospettiva inizialmente pensata di un add location alla scelta del termine place:

The last time we updated the Privacy Policy, we included language describing a location feature we might build in the future […] So, we’ve removed the old language and, instead added the concept of a “place” that could refer to a Page, such as one for a local restaurant. As we finalize the product, we look forward to providing more details, including new privacy controls.

Una strada che sembra ristrutturare la percezione del nostro abitare i media e la realtà, il nostro senso del luogo, integrando in modo sempre più forte le forme e i modi di abitare la Rete (frequentare contenuti di informazione sui siti di giornali, visitare il blog di un amico, risiedere per un po’ di tempo in una chat) con quelli della vita nei luoghi quotidiani e dilatando le modalità di connessione tra persone, luoghi e cose associandole ad informazioni e contenuti comunicativi che produciamo.

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