Come si introducono nel modo migliore i piccoli alla tecnologia? Le scuole di pensiero corrono dall’affidare con fiducia il tablet a bimbi anche piccolissimi al concentrarli su attività manuali e fargli scoprire i computer più tardi che si può.
A complicare ulteriormente le cose sono esperienze come quella di John Goerzen, programmatore e amministratore IT che vive, parole sue, in una vecchia fattoria del Kansas rurale che apparteneva ai nonni, con la città più vicina (seicento abitanti) a sette miglia (oltre undici chilometri). Nel suo blog The Changelog scrive spesso del rapporto con i due figli, in termini come questi:
Due anni fa, Jacob (che ne aveva tre) e io abbiamo costruito insieme il suo primo computer. Ci ho installato sopra Debian, ma non una interfaccia grafica. […] Ho scritto del gusto che [i due figli] hanno nell’imparare la riga di comando. […] Le occhiate scioccate che ricevo spiegando che i miei figli sono in grado di collegarsi a una shell Linux a partire dai tre anni sono divertenti. […] Invece che imparare a usare una Xbox, imparano a usare bash.
Il resto del post illustra come a Jacob, che ora ha cinque anni, sia stato insegnato a caricare l’interfaccia grafica dalla riga di comando, allo scopo di azionare programmi liberi come Tuxpaint. E come per un bambino piccolo possa essere conveniente una interfaccia grafica quale xmonad, agevolmente controllabile da tastiera e con scarse esigenze di pilotaggio via mouse, più adatto alla coordinazione di un adulto.
L’aneddoto non spiega se l’esposizione precoce alla tecnologia sia dannosa o giovevole, né dove si trovi un eventuale giusto mezzo. Certamente rafforza l’idea che la cosa più importante per la crescita di un bambino sia ricevere vera attenzione dai genitori e la tecnologia sia solo una delle tante parti dell’equazione.
A peggiorare le cose, lascia intendere come l’interfaccia grafica, soccorritrice di adulti a milioni dalla nascita dell’informatica ai giorni nostri, quando si tratta di imparare possa essere sopravvalutata.