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NO al telemarketing (quando anche allo spam?)

30 Giugno 2003

NO al telemarketing (quando anche allo spam?)

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Parte in USA la lista "do not call" per evitare i piazzisti telefonici. E il sito per iscriversi viene subito intasato da migliaia di richieste...

Negli Stati Uniti, da ottobre chi vuole potrà evitare le fastidiose telefonate dei telemarketer. Basta iscriversi all’apposita lista nazionale “do not call” appena lanciata. Una decisione storica per l’impero del business über alles, dovuta a un progetto avviato oltre un anno fa dalla Federal Trade Commission (FTC) e ufficialmente approvata l’altro giorno con una cerimonia dalla Casa Bianca. La manovra prevede di bloccare circa l’80 per cento delle telefonate di telemarketing sull’intero territorio nazionale. Ciò perché il fenomeno – in sostanza, l’antesignano del notorio spam – è chiaramente andato “out of control”. Chiamate a tutte le ore, specialmente verso cena e nei fine settimana, per proporre di tutto: mutui a bassi interessi, antenne e servizi per la TV via satellite, carte di credito super vantaggiose, perfino vittorie a fantomatiche lotterie. E quando non sei in casa, non vi dico i lunghi messaggi lasciati sulla segreteria. Secondo stime della FTC, ogni giorno i telemarketer provano a fare ben 104 milioni di telefonate a utenti e aziende sparse in giro. E s’inventano di tutto pur di disturbare gli utenti con la scusa di “fare il proprio mestiere”, ovvero cercare di piazzare articoli o servizi non richiesti, e quasi sempre inutili.

Una pratica che da tempo va sollevando ampie proteste da parte di singoli e associazioni, e su cui finalmente i legislatori hanno deciso di intervenire. L’elenco nazionale raccoglierà i numeri telefonici, comunicati direttamente dagli stessi utenti, che i telemarketer non potranno più chiamare per le proprie offerte. Ogni cinque anni l’iscrizione alla lista “do not call” dovrà essere rinnovata, mentre i telemarketer dovranno verificarla attentamente ogni tre mesi. Meglio, saranno obbligate ad acquistarla, per sovvenzionare il servizio, che rimane invece del tutto gratuito per l’utenza. Chi chiamerà comunque un numero incluso in elenco, rischia fino a 11.000 dollari di multa, dietro diretta segnalazione dell’utente colpito. L’unico dato conservato negli archivi federali sarà, appunto, il numero di telefono e nel primo anno di la FTC prevede 60 milioni di iscrizioni, su un totale di 166 milioni di numeri telefonici distribuiti sul territorio.

Va detto che analoghi elenchi già esistono in oltre 25 stati, con disposizioni analoghe a quello federale. In alcune regioni, l’iscrizione ha raggiunto il 40 per cento degli utenti telefonici, mentre in California, dove una simile iniziativa è partita in aprile per poi scattare effettivamente a fine estate, finora si sono iscritti circa 5 milioni di persone rispetto ai 35 milioni di utenti complessivi. Senza dimenticare le dovute eccezioni, che già fanno storcere il naso a più di qualcuno. Esclusi dal divieto saranno comunque le telefonate effettuate da enti di assistenza, quelle dei sondaggi e dei politici in periodi elettorali. Potranno chiamare anche quelle aziende da cui l’utente, seppure in elenco, ha acquistato o noleggiato qualcosa negli ultimi 18 mesi, e per tre mesi nel caso l’utente abbia chiamato l’azienda per informazioni su qualche prodotto o simili richieste.

Se questa è la scena a tutto campo, forse ancora più interessante è seguirne i diretti sviluppi. A partire dall’intasamento del sito web appositamente messo su dalla FTC per l’iscrizione alla lista federale. Aperto la mattina di venerdì scorso donotcall.gov è stato rapidamente subissato di richieste tanto da risultare prima superlento e poi inaccessibile a molti navigatori per buona parte del week-end. Secondo David Torok, manager del progetto per la FTC, “pur sapendo che sarebbe stato popolare, siamo stati travolti… abbiamo contato fino a 1.000 iscrizioni al secondo e a mezzogiorno di venerdì si erano già registrati 370.000 utenti”. AT&T, incaricata della gestione tecnica dell’operazione, si è precipitata ad aggiungere altri server onde far fronte al gran traffico. Neppure è mancato un imprevisto a dir poco ironico. Inizialmente le e-mail di conferma, automaticamente inviate dalla FTC agli utenti, sono rimaste bloccate dai filtri anti-spam dei maggiori provider. E se l’utente non replica entro 72 ore a tali e-mail, la sua richiesta d’iscrizione viene scartata.

Lo stesso Torok ha spiegato di aver avvertito i provider, perché “sapevamo che le conferme potevano rimanere colpite dai filtri per le bulk e-mail.” Resisi conto della situazione, i tecnici di Yahoo! e poi anche di MSN e AOL sono corsi ai ripari, riposizionando i propri filtri e/o avvisando gli utenti di controllare le proprie mailbox anti-spam. Mentre gli stessi responsabili del sito donotcall.gov vanno diffondendo appelli alla calma, nel senso che sia lo stesso sito che l’apposito numero telefonico gratuito saranno disponibili per diversi mesi a venire, non c’è alcun bisogno di fare ressa nei primi giorni. E chi non riceve quelle e-mail di conferma è bene telefoni per esser certo di finire nell’elenco.

Ma se gli utenti statunitensi sembrano decisi a farla finita col telemarketing, attratti come api dal miele verso le liste “do not call”, non va sottovalutata la reazione dell’imprenditoria. Come già avviene a proposito dello spam, anch’esso nel mirino dei legislatori USA. Reazione arrabbiata anziché no, com’è ovvio attendersi. In replica all’ampio spazio dato dalle testate di informazione al progetto federale, l’industria del telemarketing va informando che l’iniziativa ridurrà rapidamente sul lastrico il settore. Con puntuale denuncia, già presentata in tribunale, contro la FTC perché il progetto appena lanciato non sarebbe altro che “un’illegale violazione del free speech”, la tanto cara libertà d’espressione. Senza infine contare come saranno le stesse aziende a sborsare gli oltre 18 milioni di dollari necessari a coprire le spese del progetto nel primo anno.

L'autore

  • Bernardo Parrella
    Bernardo Parrella è un giornalista freelance, traduttore e attivista su temi legati a media e culture digitali. Collabora dagli Stati Uniti con varie testate, tra cui Wired e La Stampa online.

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