Reuters non accetterà più immagini originate da file RAW, in quanto ritiene che l’eccessiva libertà di elaborazione non rilevabile possa violare l’etica – che si vuole il più obiettiva possibile – del fotogiornalismo indipendente.
Molto in breve, un file RAW non è in effetti una fotografia nel senso letterale del termine, ma la raccolta di tutti i dati acquisiti dai sensori della fotocamera al momento dello scatto. Il software di postproduzione odierno consente ovviamente una libertà immensa di manipolazione di questi dati e il timore di Reuters è che, per qualunque scopo dall’alzare il compenso alla falsificazione dei fatti, si diffonda l’elaborazione di RAW fino al punto in cui i risultati raccontano una storia differente da quella della vera inquadratura. Così l’avviso:
Non inviate foto elaborate da file RAW o CR2. Se volete scattare immagini RAW non c’è problema, ma fatelo anche in formato JPEG. Inviateci solo le foto che erano JPEG in originale, con postproduzione minima (ritaglio, correzione dei livelli di colore eccetera).
Il portavoce di Reuters che ha effettuato la dichiarazione ha anche precisato gli intenti della decisione e riassunto quella che, non fosse un’agenzia, si potrebbe chiamare linea editoriale:
In quanto testimonianze oculari di eventi coperti da giornalisti dedicati e responsabili, le foto Reuters devono riflettere la realtà. Sia pure nel cercare fotografie della migliore qualità estetica, il nostro obiettivo non è interpretare artisticamente le notizie.
Basta passare mezz’ora su Facebook per assistere alle conseguenze paventate da Reuters. La stessa esistenza di Instagram si deve al desiderio collettivo di mettere un filtro davanti alla realtà e trasformarla.
Nel fotogiornalismo la questione va oltre gattini e crostate. Una singola, iconica immagine può rovesciare governi, scatenare rivolte, spostare equilibri globali. D’altronde, dai rudimentali taglia e cuci dei gerarchi sovietici negli anni venti fino all’odierna propaganda del terrore islamico, si è sempre stati consapevoli del potere di una buona manipolazione. E a intervalli regolari nascono dubbi sull’autenticità di foto che hanno fatto la storia, come la morte del miliziano ripresa da Robert Capa.
Il dettaglio diabolico nella politica di Reuters è la dizione postproduzione minima. Il punto dove si varca il limite è controverso, come si vede dallo studio The Integrity of the Image.
Come sempre, il genio non rientrerà nella bottiglia. La libertà totale di comunicare si paga con la perdita generale di autorevolezza. Non stupisce il grande seguito che riscuotono le tesi complottiste presso menti altrimenti equilibrate e intelligenti: se si vuole credere ciecamente a qualcosa niente lo può impedire e nulla, davanti a un pregiudizio, riesce ad attestare incontrovertibilmente la verità.
La decisione di Reuters ha il coraggio della riaffermazione di un principio, qualcosa che sul web normalmente è una battaglia persa. Auspichiamo che venga seguita da tutti i mezzi di informazione che vogliono essere degni della qualifica. E magari postiamo i nostri gattini un po’ più al naturale, in segno di solidarietà.