Dobbiamo fare marcia indietro e rettificare quanto abbiamo scritto pochi giorni fa. Napster non fallisce ed è salvata in extremis.
Autore del salvataggio sempre il gruppo tedesco dei media, Bertelsmann che, di fatto, acquisisce il sito e tutta la tecnologia.
Napster diventa proprietà tedesca e i nuovi padroni si impegnano a pagare i creditori per 8 milioni di dollari, salvandolo dal fallimento.
I tedeschi, d’altronde, sostenevano finanziariamente Napster da più di un anno e la presa del controllo è stata ritardata da problemi in seno alla famiglia di Shawn Fanning, l’inventore del sito.
È stato suo zio John a rivolgersi al tribunale per cercare di contrastare un’acquisizione ritenuta troppo facile da parte dei tedeschi, sperando così di monetizzare sulla transazione.
Sembrava che la sua linea fosse vincente, soprattutto dopo il rifiuto del consiglio di amministrazione di Napster di accettare l’offerta di Bertelsmann. Rifiuto che aveva provocato le dimissioni del presidente (ex dipendente del gruppo tedesco) e di alcuni dipendenti.
Ma John Fanning è stato sconfessato dal tribunale e ha gettato la spugna, aprendo le porte alla soluzione prospettata dai tedeschi.
Il gruppo Bertelsmann, dunque, integrerà Napster nel suo progetto BeMusic, che comprende già il sito CDNow.
Risultato immediato, il ritorno sul ponte di comando del presidente di Napster e di Shawn Fanning, tutti e due dimissionari da pochi giorni.
Dunque, Napster non è morto. Sentiremo ancora parlare di lui.