Aumentano le proposte di matrimonio tra software libero/open source e Pubblica Amministrazione. Come segnalato recentemente, il trend va concretizzandosi un po’ ovunque mondo (Italia inclusa). È quindi il caso di dare un’occhiata ravvicinata all’attuale situazione dei due maggiori progetti trainanti in tal senso, quello di Monaco di Baviera e del Brasile.
LiMux, nome in codice dell’iniziativa voluta dalla Città di Monaco, e il suo maggiore artefice, Peter Hoffman, stanno diventando delle star internazionali. Dopo l’attenzione dei media (fino al quotidiano USA Today) a partire dal primo annuncio del progetto due anni fa, “..abbiamo ricevuto continue richieste di incontri e presentazioni”, spiega lo stesso Hoffman. “Abbiamo incontrato responsabili pubblici che volevano conoscere di prima mano la nostra esperienza, provenienti da paesi quali Giappone, Corea, Australia, Polonia e Danimarca”. Un interesse che non potrà che aumentare da qui al 2008, anno di prevista chiusura del passaggio a Linux, ma che non ha comunque distratto l’implementazione di un’operazione tutt’altro che semplice. Dall’autunno sono infatti riprese a pieno regime le attività della cinquantina di specialisti al lavoro. Ciò dopo una battuta d’arresto per ovviare alle preoccupazioni relative a possibili infrazioni di brevetti, e senza dimenticare l’iniziale contraccolpo dovuto alle esplicite pressioni di Microsoft, con la visita ai responsabili cittadini del vicepresidente Ballmer.
Finora l’unica applicazione implementata è il browser: circa il 70 per cento dei 14.000 desktop operanti sono migrati a Mozilla Firefox. Non è un granché, ma si procede. Altro passo cruciale ora in atto è l’informazione e il coinvolgimento diretto degli oltre 16.000 impiegati della municipalità, tramite ‘prove su strada’ e altre sessioni ad hoc per i necessari aggiustamenti. Ulteriore manovra, prevista a inizio anno nuovo, è la migrazione da Microsoft Office 97 e 2000 e OpenOffice, e da Windows NT 4.0 a Linux. Hoffmann spera entro metà 2005 si arrivi così ai primi dipartimenti, quelli con minori problemi, in grado di usare OpenOffice in parallelo con Microsoft Office. In generale, saranno circa 300 i progammi che dovranno seguire una simile fase di lenta transizione tecnica. Chiaramente sono proprio i costi del training e della migrazione a influire maggiormente sul budget, pur se sull’altro piatto della bilancia ci sono i notevoli risparmi su hardware, licenze e costi operativi. E se è vero che LiMux è ancora in fasce, altrettanto vero è che ha davanti a sé un futuro assai promettente.
Intanto l’infrastruttura pubblica brasiliana lavora pian piano a una transizione perfino più ampia e complessa. Si tratta di un progetto che, una volta coperti i circa 300.000 computer interessati, porterà alla forte espansione dell’industria nazionale del software oltre che a importanti ripercussioni internazionali. Almeno queste le speranze dei promotori, in particolare di Ricardo Bimbo, coordinatore del piano di trasferimento dai programmi proprietari a quelli aperti. Il quale però non nasconde una buona dose di prudenza: il processo è complesso e va attivato gradualmente perché rappresenta “un cambio di paradigma e la rottura dei monopoli” e deve quindi superare forti “resistenze tecniche e culturali”. Senza dimenticare l’estrema e tradizionale decentralizzazione del settore info-tech brasiliano in coppia con la diffusione di sistemi ibridi in uso.
Non a caso, al momento il passaggio all’open source interessa “forse cinque per cento” dell’infrastruttura, pur se la cifra sale addirittura al 70 per cento nel caso dei server sicuri. Ci si avvia insomma verso la prima meta fissata dal piano governativo: entro il settembre 2005 almeno il 30 per cento delle macchine opereranno con il nuovo sistema. Il tutto anche per toccare con mano i primi effetti positivi della transizione, ovvero quelli economici. Nel 2002 il Brasile ha speso oltre un miliardo di dollari in royalty e licenze per il software importato, notevole salto rispetto ai 600 milioni di dollari sborsati nel 1999. Costi elevati che sono d’ostacolo all’estesa campagna d’informatizzazione in atto: basti pensare, aggiunge ancora Bimbo, a quanto “si dovrebbe spendere in royalty per un progetto che interessa 100.000 istituti scolastici, dove con l’introduzione di 20 computer ciascuno”. E un recente sondaggio su 15 agenzie governative che hanno già adottato il software libero rivela un risparmio complessivo di 10 milioni di dollari, con costi pari ad appena il tre per cento di quanto si sarebbe speso per avere analoghi programmi proprietari.
Altri punti cruciali della nuova strategia operativa sono la sicurezza nazionale e l’autonomia tecnologica. Nel primo caso, si evita l’eventuale presenza di “backdoor” impossibili da individuare per via del ‘codice chiuso’, vulnerabili agli attacchi di virus e malintenzionati. Motivo per cui le forze armate si sono mostrate particolarmente convinte del passaggio a sistemi aperti. Il secondo punto comporta ovviamente la diminuzione (e, a lungo termine, la scomparsa) della tipica dipendenza della PA dalle grandi corporation private. Secondo Rodrigo Afonso, direttore della rete informatica per il terzo settore, la sicurezza e l’indipendenza costituiscono anzi fattori più importanti del risparmio economico. Infatti tale rete usa già software open source per l’80 per cento dei propri servizi. Senza dimenticare come queste nuove policy governative favoriscano un importante trend socio-culturale: la condivisione di informazioni. “La conoscenza che ne deriva e si diffonde è a disposizione di tutti”, insiste Ricardo Bimbo, mentre il software proprietario “tiene tutti prigioneri”. Nel complesso, dunque, la scelta del governo brasiliano è stata strategica e tempestiva, oltre che pioneristica: adesso sia Linux sia i vari programmi compatibili hanno raggiunto un ottimo livello di affidabilità e robustezza.