Il mondo della robotica si sta preparando ad aprire nuovi mercati, entrando nella nostra vita in forme finora solo pensate dagli scrittori di fantascienza. Dopo decenni passati a sviluppare la robotica pesante, all’interno dell’automatizzazione delle catene di montaggio, gli automi stanno entrando nelle case.
I primi passi sono stati in campo ludico – e i robot giocattolo oggi disponibili avrebbero fatto sbavare di invidia gli ingegneri della Nasa di qualche anno fa. Ma il robot ha molto da dire in applicazioni meno divertenti, come nel caso dei robot aspirapolvere. Questi discreti oggetti si incaricano di ripulire i pavimenti in autonomia, di ricaricarsi quando hanno le batteria a terra e di ricominciare quando sono carichi, senza lamentarsi e senza chiedere i contributi. E questo, nei piani di molte aziende, non è che l’inizio dell’invasione.
Se, anche senza ricorrere alla nanotecnologia, si sono compiuti grandi progressi nella miniaturizzazione dei componenti e le ricerche sull’intelligenza artificiale rendono sempre più autosufficienti i meccanismi, resta un grave problema da risolvere: quello dell’indipendenza energetica.
L’autonomia passa per la caccia alla lumaca
Per essere veramente indipendenti e utili, i robot di domani dovranno poter fare a meno degli interventi umani o della vicinanza di una presa elettrica. Scartata l’ipotesi più ovvia (l’uso di una generatore termoelettrico a plutonio), i progettisti si sono quindi rivolti verso il mondo biologico – perchè nessuno è in grado di realizzare soluzioni compatte ed efficienti come quelle di madre natura; e nessun ingegnere saprebbe replicare un generatore energetico perfetto come un mitocondrio. In questo senso vanno dunque le ricerche del Bristol Robotics Laboratory che ha intrapreso con coraggio la strada dell’esplorazione di fonti energetiche non convenzionali a uso robotico.
Il primo esperimento si è centrato sullo sviluppo dello SlugBot, un robot predatore in grado di alimentarsi a lumache – preda selezionata in quanto «a parte la relativa facilità di cattura (in confronto alle zebre), le lumache sono estremamente infestanti, abbondanti, non hanno un guscio duro né uno scheletro e sono ragionevolmente grandi. È anche più interessante, dal punto di vista della tecnologia, cercare di catturare una preda mobile piuttosto che far brucare l’erba»,
L’obiettivo del progetto (concluso nel 2001) era quello di costruire un meccanismo in grado, quando “affamato” (ovvero a corto di energia), di individuare e raccogliere lumache infestanti il territorio. Una volta raccolte, le lumache sarebbero state portate dai robot in un dispositivo esterno e lasciate a fermentare. Il biogas prodotto sarebbe poi stato impiegato in una cella a combustibile per generare elettricità con cui alimentare gli automi (dalla descrizione si evince l’assoluta necessità di posizionare l’unita esterna… all’esterno, proprio).
Alla conclusione di questo primo esperimento, i ricercatori erano arrivati a sviluppare un prototipo in grado di muoversi, cercare e individuare le lumache (animali notturni) grazie a sistemi di visione artificiale e quasi in grado di acchiapparle (si veda questo filmato) con un braccio meccanico di un metro e mezzo.
Ma la scienza imita la natura
Concluso questo primo progetto, il lavoro è proseguito seguendo, si potrebbe dire, la storia dell’evoluzione umana, ovvero passando dalla caccia all’allevamento (per ragioni di spazio non di lumache ma di microbi, possibilmente innocui per l’uomo).
Gli scienziati hanno in seguito sviluppato un “digestore microbico” un contenitore con una membrana semipermeabile contenente una cultura di microbi, in grado di processare sostanze nutritive (come spazzatura, mosche morte, frutta in decomposizione o liquami) e generare piccole quantità di elettricità – formando una specie di batteria biologica che realizza una sorta di metabolismo artificiale. Questo compatto meccanismo potrebbe quindi essere facilmente alloggiato in automi in grado dunque di fare a meno di batterie alcaline o ricariche a molla.
Le attività di ricerca stanno ora andando in direzioni sempre più sofisticate per garantire la sufficiente autonomia energetica a quelli che saranno robot auto sufficienti, in grado di operare sulla terra o sott’acqua per i più svariati compiti.
Per i robot, in fondo a sinistra…
Sicuramente di qui all’impiego di questi apparati domestici il passo è ancora lungo: non solo per gli aspetti di tipo scientifico, ma per gli effetti collaterali di processi che imitino quelli biologici – e il loro relativo impatto sulla ristrutturazione dei nostri appartamenti.
Il tipo di meccanismi energetici ipotizzati richiede infatti la necessità di sbarazzarsi di effluenti secondari derivanti dal processo di “digestione”: detto più chiaramente, le case del futuro dovranno avere installazioni idrauliche appositamente progettate a misura di robot, per evitare che i nostri piccoli automi si trovino costretti a farci la pipì negli angoli.