Il nostro universo tecnologico è, in fondo, un mondo a due velocità. La tecnologia microelettronica ha in pochissimi anni ristretto in millimetri quadri complessi informatici che un tempo avrebbero richiesto enormi palazzi. E anche se il limite della miniaturizzazione dei dispositivi informatici sembra periodicamente raggiungere il limite teorico oltre il quale sembra impossibile andare, ogni volta gli scienziati si inventano un nuovo gioco di prestigio per aggirare le barriere che la fisica vorrebbe porre alla nostra ricerca verso il piccolo.
Di contrasto, la nostra meccanica ed elettrotecnica (solo per citare un paio di esempi) hanno progredito molto meno. Le nanotecnologie appaiono da anni promettenti aree per la creazione di straordinari meccanismi che potranno portare la nostra capacità di interagire fisicamente con l’ambiente circostante verso le barriere dell’infinitamente piccolo. Ma, in realtà, di nanomacchine funzionanti e disponibili per l’uso sul mercato, ancora non ne ho viste.
Il problema è che è maledettamente difficile fabbricare oggetti così piccoli, tanto piccoli da far venire il mal di testa anche a un orologiaio svizzero, di realizzare in pratica dei meccanismi (nome in codice: MEMS – Microelectromechanical Systems) così piccoli da avere le dimensioni di un chip o di essere integrati in uno di essi. Anche se siamo riusciti a costruire piccoli apparati muovendo un atomo alla volta con un apposito microscopio, il lavoro è complicatissimo e poco adattabile a una produzione industriale. La speranza è costruire nanomacchine che sappiano costruire altre nanomacchine, in un processo praticamente biologico. Con tutta una serie di rischi connessi di cui magari parliamo un’altra volta.
Noi siamo più intelligenti, i microbi più diligenti
Quel che fa più rabbia nella comparazione tra biologico e meccanico è che in questo mestiere di costruire nanostrutture, esseri fondamentalmente stupidi come ad esempio i batteri o certe alghe, sono molto più in gamba di noi intelligentissimi esseri umani. Partendo da questa considerazione, un certo numero di scienziati sta ripensando l’approccio alla nanotecnologie e, invece di entrare in competizione con i microrganismi per vedere chi è più in gamba, hanno iniziato a cercare di usarli come motore primo della fabbricazione di microscopiche strutture ad uso umano. E provare persino a usare microrganismi come parte funzionale di tali meccanismi.
Di certo, il primo passo verso l’industrializzazione del batterio è quello di trasformarlo in forza lavoro, anzi, in struttura produttiva. Molti microrganismi sono bravissimi a sintetizzare materiali che a noi risultano complicati da produrre. Materiali che a noi comporterebbero lavorazioni ad alta temperatura, processi complessi, vuoto, uso di sostanze tossiche e inquinamento vengono serenamente prodotti senza troppe storie da semplici esserini microscopici. Con il vantaggio che questi organismi (essendo, come anticipato, stupidi) lavorano gratis e sono poco propensi alla sindacalizzazione.
Portando il processo più in là, si può passare a convincere questi organismi a formare vere e proprie strutture, con l’aiuto di un buon substrato nutritivo e di un pochino di ingegneria genetica (e quando si sente questo termine, lo so, noi tutti saltiamo sulla sedia). Lavorare per persuaderli (o modificarli) per far loro formare specifici cristalli o microparti meccaniche di cui loro sono gli operai e noi gli ingegneri. Potremmo convincere forse diatomee a forgiarsi a forma di ingranaggi e già si sta studiando la possibilità di usare certe spugne per sviluppare microaculei adatti a essere impiegati come fibre ottiche.
Solo un piccolo, piccolo ingranaggio
Una piccola pedina nel grande gioco della vita o oppure una componente meccanica complessa. Che a noi costerebbe molta fatica produrre assemblando moltissimi pezzi e che a un microrganismo viene facilissimo produrre in serie replicando sé stesso (sì, con quel processo di sintesi dove c’entrano le api e i fiori). Certi organismi potranno venire impiegati come componenti di macchine più complesse: non mancano infatti gli organismi che, soggetti a stimoli chimici o elettrici sono in grado di mettersi in movimento, trasformandosi in micromotori, ruotando o cambiando forma. Esistono ad esempio microscopici vermi in grado di contrarsi del 25% in lunghezza nel giro di un millisecondo, costituendo un interessante motore o attuatore meccanico. Altri organismi si possono usare come sensori e altri ancora possono trasformare sostanze chimiche in energia, proponendosi come celle a combustibile biologiche – la fonte di energia in grado di alimentare questi Bio-MEMS.
Insomma, un domani forse il microscopico sommergibile di Viaggio Allucinante non sarà ottenuto miniaturizzando un oggetto in dimensioni reali ma assemblando una diatomea, un paramecio e un cloroplasto, il tutto propulso da un Escheria Coli cui girano vorticosamente i flagelli. E ce lo potrebbero iniettare nel sistema linfatico in grandi quantità per rimuovere cellule cancerogene o altre indesiderabili schifezze.
Al di là delle applicazioni mediche, campo più eclatante, esistono un numero infinito di applicazioni possibili per nanomeccanismi facili e economici da costruire (tanto ci pensa il batterio, che mica sciopera). I Bio MEMS potrebbero cambiare una quantità infinita di mercati e di prodotti, portando a una miniaturizzazione ancora più spinta o alla capacità di effettuare operazioni prima impossibili come ad esempio ripulire senza rischi una fuga di materiale nucleare rimuovendolo un atomo alla volta o di preparare incredibili Martini Cocktail (mescolati, non agitati) accoppiando gin e vermouth molecola per molecola.
Fantascienza?Lo erano anche le macchine pensanti, il telefono da polso di Dick Tracy e i mondi virtuali dove vivere un’Altra Vita. Se oggi un virus nel computer ci fa paura, domani un microbo nel motore potrà farci sentire più tranquilli.