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Metamorfosi

04 Agosto 2000

Metamorfosi

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Non siamo quello che pensiamo di essere. Non siamo quello che vogliamo essere. Siamo gli strumenti che utilizziamo. E se usiamo Windows, cosa siamo? (niente cattive parole)

Inquietante, vero? Eppure sono questi i risultati della moderna mass-mediologia (uno dei tanti nomi della scienza che si occupa dello studio dei media e delle loro influenze sull’uomo). I primi studi di questo genere risalgono ai primi anni ’60, ad opera di Marshall McLuhan, professore canadese appassionato di antropologia e sociologia, meglio noto per aver coniato la nota ed abusata espressione “Villaggio Globale“.

McLuhan concepisce la tecnologia come un’estensione o auto-amputazione di noi stessi. Basta semplicemente guardarci intorno: sarà facile pensare alle posate come un’estensione delle nostre dita, o alla ruota come un’auto-amputazione del nostro piede. Si tratta di modificazioni terribilmente potenti: una lieve pressione sull’acceleratore è sufficiente per sfrecciare a 240 Km/h sulla tangenziale.

Sfracellandosi contro un muro, magari1. Perdonate la brutalità, ma non crediate che ogni nuova tecnologia non abbia effetti altrettanto pesanti sull’uomo.
Un celebre poeta, uomo di tutt’altre preoccupazione che la tecnologia, scrisse a proposito della Vaporiera:

“Un bello e orribile
Mostro si sferra
Corre gli Oceani
Corre la terra.

Come di turbine
Alito spande:
ei passa, o popoli,
Satana il grande”.

Meno apocalittico ma più simpatico un celebre aneddoto:

“Si racconta che tra i primi telespettatori dotati di fervida immaginazione, circolasse la credenza che l’annunciatrice, il cui volto allora veniva ripreso in primissimo piano, potesse effettivamente guardare chi stava seduto nel soggiorno2”.

Vedremo nelle puntate successive come sia possibile spiegare alcuni manga e diversa fantascienza come compensazioni fantastiche dovute all’impatto violento della tecnologia e perché non ci si renda conto delle profonde modificazioni da essa prodotte.

È di fondamentale interesse, nell’era della new economy e della grande Rete, occuparsi specificatamente delle tecnologie della comunicazione, in assoluto le più pervasive e potenti, in quanto non estendono le nostre capacità fisiche, bensì le nostre facoltà mentali.

Scrittura, radio, televisione amplificano alcuni sensi a dispetto di altri, alterando l’equilibrio primigenio. La scrittura fonetica, abbinando simboli grafici ai suoni delle parole, sostituisce l’occhio all’orecchio. La radio ripristina il dominio della parola parlata su quella scritta3. La televisione agisce più profondamente, amplificando enormemente il canale visivo, scavalcando la coscienza e parlando direttamente al corpo4.

Percepiamo noi stessi e il mondo esterno attraverso i nostri sensi. Conseguentemente, ogni alterazione del sensorio umano (come quello prodotto dall’alfabetico alfabetico) produce un modo differente di vedere noi stessi e il mondo. Immaginate di divenire ciechi: come cambierebbe la vostra vita, la vostra percezione nel mondo, voi stessi?
Un noto demo scener5 – daltonico – ha espresso attraverso le sue opere il suo modo – alterato o soltanto diverso? – di vedere il mondo.

Cambiando la percezione, il modo di rapportarsi al mondo, cambia anche l’uomo che diviene vincolato ad un preciso Brainframe.
La definizione di Brainframe si deve a Derrick De Kerckhove, discepolo di Marshall McLuhan. Per De Kerckhove:

“Un brainframe è qualcosa di diverso da un atteggiamento, da una mentalità, pur essendo tutto questo e molto di più. Pur strutturando e filtrando la nostra visione del mondo, esso non è esattamente un paio di occhiali di tipo particolare – dato che un brainframe non è mai localizzato nella struttura superficiale della coscienza, ma nella sua struttura profonda6”.

Sostanzialmente ogni tecnologia ci altera in modo profondo: fisiologicamente, alterando l’organizzazione neurale, psicologicamente alterando le categorie mentali attraverso cui interpretiamo il mondo (altro effetto collegato ai brainframe). In definitiva:

La tecnica cambia l’uomo

E, non ci dimentichi, richiede all’uomo di conformarsi al suo utilizzo. Charlie Chaplin ha ben espresso il dramma dell’adattamento tecnologico vestendo i panni dell’operaio che, dopo aver alzato e abbassato per ben 10 ore una leva, rincasando continua con lo stupido movimento. L’operaio di Chaplin è divenuto il “servomeccanismo” della macchina.
Roba di altri tempi? Non direi: ho appena dovuto riformattare l’hard disk e reinstallare Windows…
Anche questa volta, Windows ha vinto sui miei propositi idealistici, sulla convinzione che il computer sia un’estensione delle mie potenzialità e non un’amputazione del mio cervello… Anche stavolta, mi sono dovuto conformare alla tecnologia. Quali speranze abbiamo di rovesciare il gioco?
Lo vedremo prossimamente.

  1. Fate i debiti scongiuri
  2. Marshall McLuhan, Arnoldo Mondatori Editore S.p.A Milano, 1964, “Gli strumenti del Comunicare”, pag 230
  3. Facendo piombare – sostiene McLuhan – l’Europa degli anni ’20/30 nel mondo tribale del fascismo. L’autore di questo articolo non condivide questa affermazione, peraltro mai chiaramente dimostrata.
  4. È una scoperta recente, ad opera di Stephen kline, direttore del Media Analysis Lab della Simon Fraser University di Vancouver. Derrick De Kerckhove dedica un capito intero di Brainframes ad un esperienza di Kline, concludendo che: “La televisione parla in primo luogo al mio corpo, e non alla mente […] Quando guardo la TV il mio copro reagisce istantaneamente, anche se la mia mente procede lenta ed impacciata” [Derrick De Kerckhove, Brainframes, Baskerville, Bologna 1993, pag. 53]
  5. La “Scena Demo” è una comunità di informatici (programmatori, grafici, musicisti, giornalisti) che orbita intorno la produzione e fruizione di opere artistiche create sul computer. Periodicamente, i protagonisti di questa comunità underground e sconosciuta di incontrano in dei particolari meeting, i Party, dove tra birre e notti insonni si votano le migliori produzioni artistiche. Molte di queste produzioni confermano la visione del computer come di un ponte verso l’inconscio, una scatola misteriosa che possiede una anima mitologica. L’argomento verrà ripreso nelle prossime puntate.
  6. [Derrick De Kerckhove, Brainframes, Baskerville, Bologna 1993, pag.11]

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