Allora possiamo dire che finalmente le cose open esistono. Dopo gli open data citati in un telegiornale nazionale, è stata infatti la volta delle tecnologie open source presentate in una bella puntata di Report su Rai Tre.
Un’inchiesta condotta da Michele Buono per capire quale potrebbe essere l’impatto economico e sociale se i progetti migliori nel campo della manifattura digitale, dei nuovi modelli di impresa, del trasporto, dell’efficienza energetica, dell’urbanistica, della formazione e dell’istruzione, si trasformassero da piccoli grumi di eccellenza sparsi in Italia e in tutta Europa, in un grande sistema integrato.
Tra i vari temi toccati emerge appunto l’open source come elemento chiave, specie per le piccole realtà emergenti, che ormai è moda chiamare (spesso impropriamente) startup.
Gloria Spagnolo di Xuni (una minuscola ma performante realtà familiare della provincia trevigiana che offre soluzioni open source di vario tipo) parla della loro offerta:
possiamo realizzare la nostra tecnologia grazie ai progetti open source; grazie a quella conoscenza che viene condivisa in rete e ci permette di avere nel nostro ufficio anche stampanti e macchine come queste senza dover far lievitare in modo esponenziale i costi.
E poi è la volta dell’italiano probabilmente più noto al mondo nel campo delle tecnologie open. Colui che ha pensato di applicare una licenza Creative Commons ad un circuito stampato (o più propriamente alla sua architettura): Massimo Banzi, il principale ideatore di Arduino, il più noto caso di applicazione dell’open source al mondo dell’hardware. A lui il compito di spiegare come il modello open può generare ricchezza (e a volte anche vero e proprio business) passando da sentieri diversi da quelli delle tradizionali logiche di mercato.
È chiaro che rispetto a quello che si potrebbe guadagnare con un modello di business tradizionale si guadagna infinitamente, molto meno, però non è detto che questo mercato si sarebbe sviluppato allo stesso modo. E da un altro lato chiaramente il mercato si espande per tutti, per cui si è anche una fetta più piccola di un mercato molto più grande; è meglio che avere una fetta enorme di un mercato inesistente.
La chiave sta nello sfruttare il modello open per creare un nuovo mercato; un mercato che nell’ottica non open probabilmente non avrebbe comunque ragion d’essere o avrebbe tutt’altri equilibri a livello di interesse da parte del pubblico e di sostenibilità economica. Ecco, è tutto lì. Semplicissimo.
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