Apple nel mese di settembre ha messo in piedi un evento in grande stile per pubblicizzare una serie di annunci, e tutti si sono concentrati sugli attesissimi iPhone 6 e Apple Watch. Scintillanti, per carità, ma… Parliamo invece di come veramente cambierà l’universo grazie ad Apple Pay, anche se in Italia non funziona ancora, anche se per ora non può venire usato sul web.
Chi ha un capello bianco ricorderà quando la carta di credito si usava nei negozi infinandola in una macchinetta che la imprimeva meccanicamente su carta chimica per lasciare traccia dei numeri in rilievo. Poi è arrivata la banda magnetica. Infine il chip. Apple Pay è la fase quattro e per la prima volta chi paga una pizza e una birra non deve più temere che il pizzaiolo con occhio lungo e buona memoria prenda nota del suo numero e vada la sera a farsi un giro su sessoecarnazza.com. Il sistema di pagamento Apple Pay infatti preautorizza l’addebito con una password usa e getta anonimizzata. Che non può venire ricondotta al proprietario della carta di credito, non è riutilizzabile se il flusso dati viene copiato sulla strada tra pizzaiolo e banche, non porta con sé numero e codice di sicurezza.
Per questo motivo la vostra banca, come le maggiori banche statunitensi e cinesi hanno già fatto, presto si renderà conto che le conviene a mani basse pagare ad Apple la retroprovvigione. Quando pagate cent’euro la pizzata con gli amici, 30 centesimi vanno in tasca al signor Visa e al suo payment processor. Un euro e settanta invece alla vostra banca, che ne spende la maggior parte per ripagarsi di truffe, costi di emissione della plastica e stipendio dell’omino che prende la vostra telefonata alle due di notte quando voi chiamate per dire che v’hanno fregato il portafoglio. Tutte spese che svaniscono o crollano se voi lasciate la carta di credito a casa e pagate con Apple Pay, quindi come dicevo la vostra banca è felicissima di passare ad Apple 15 dei suoi 170 centesimi:
Solo Apple poteva legare insieme autenticazione e trasmissione delle credenziali in modo così fluido, perché farlo richiede un approccio strettamente integrato nel quale l’hardware (o perfino il processore) incapsula autenticazione e trasmissione presso il punto di pagamento come una transazione atomica, che non può essere suddivisa nelle proprie componenti.
Apple è felice di mettere quei quindici centesimi in tasca. Il signor Visa e suo cugino Mastercard sono estatici, perché quando Apple s’è seduta e ha intavolato il discorso dicendo nei nostri database ci sono un miliardo di numeri di carte di credito, quindi potremmo fare tutto senza di voi, ma invece vi vogliamo come partner han solo dovuto sfregarsi le mani. I commercianti sono entusiasti, perché l’apparecchietto che hanno in casa gli verrà sostituito gratis e perché i pagamenti Apple Pay a loro costano solo il 2% del transato, come le carte tradizionali, ma richiedono 40 secondi in meno per transazione.
E i consumatori? Non ci hanno ancora pensato, ma presto comprenderanno che per la prima volta da vent’anni un’azienda tecnologica offre loro una comoda novità che comporta maggior privacy rispetto al passato. Un acquisto di merce con Apple Pay è del tutto anonimo (solo la mia banca sa chi sono io, solo il commerciante sa cosa ho pagato, Apple non sa nulla di nulla).
Confrontiamo con Google Wallet? Se lo usassi, il pagamento andrebbe da me a Google e da questo alla mia banca. Il più gran ficcanaso al mondo dunque prende nota di cosa ho comprato, quando, dove e quanto l’ho pagato. Il commerciante pagherebbe il 3,2% di provvigione. Non è una sorpresa scoprire che quel sistema se l’è filato quasi nessuno.
Apple Pay è innanzitutto un sistema per pagare merce fisica in un negozio di mattoni, o l’ingresso in un sistema di trasporto pubblico o in un teatro, in un battito di ciglia, poggiando orologio o telefono alla cassa. Sarà un successo planetario (ci scommetto di mio, e se ho torto venite a sputarmi in un occhio a fine 2015). Ma è già predisposto per i pagamenti di servizi. Uno sviluppatore di app oggi può può chiedere un pagamento approvato da un passaggio del pollice sul sensore di impronte digitali. Passo successivo, i pagamenti sul web. Apple ha da sempre uno zampino nel WHATWG, l’ente che definsce lo standard HTML5.