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Media Monopoly: come prima, più di prima?

29 Aprile 2002

Media Monopoly: come prima, più di prima?

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Alcuni recenti volumi affrontano dall'interno e con durezza il tema della manipolazione dell'informazione e del controllo dei mass media in USA.

“Negli Stati Uniti non esiste un’unica corporation in grado di controllare i mass media. Ma l’insieme costituito da quotidiani, riviste, radiotelevisione, libri, film e gran parte dei mass media sta rapidamente avviandosi sotto il ferreo controllo di un pugno di grandi multinazionali. Qualora fusioni, acquisizioni e inglobamenti dovessero proseguire al ritmo attuale, entro gli anni ’90 una sola gigantesca entità potrebbe ottenere il controllo virtuale di tutti i media.”

Previsione forse eccessiva, ma tutt’altro che lontana dalla realtà dei nostri tempi. Ancor più se consideriamo che venne proposta al pubblico ormai 20 anni fa, nell’apertura di “The Media Monopoly,” scritto a piene mani da Ben Bagdikian nel 1983. E da allora divenuto una sorta di bibbia per scuole di giornalismo e testate d’ogni tipo, entrato nelle case di milioni di cittadini più o meno ignari degli scenari dietro le quinte, ampliato e aggiornato nella sesta edizione di recente pubblicazione. La nuova uscita in paperback ha provocato un rinnovato interesse sulla questione sempre bollente del controllo dell’informazione, ancor più di questi tempi in cui critiche e dissensi allo status quo vengono sistematicamente ignorate, o peggio criminalizzate (Noam Chomsky insegna).

Non a caso quegli stessi critici che allora avevano definito Bagdikian ‘allarmista’, oggi sono costretti a riconoscere come il numero delle corporation che detengono il controllo dei grandi media si sia ulteriormente ristretto, passando “da cinquanta ad appena una decina di conglomerati,” come suggerisce una recensione del libro. Ecco quindi che la nuova edizione esplora più a fondo le implicazioni politiche di una tale riduzione, insieme ad una serie di analisi generali relative all’impatto di Internet e dei new media. Un impatto che lo stesso Bagdikian considera comunque positivo, come ha illustrato nel corso di una serata dal vivo nella Bay Area. Nonostante i venti di crisi per il digitale, informazione inclusa, Internet sarebbe cioè uno strumento “capace di provocare un certo sconquassamento nel monopolio dei media.” Ciò grazie soprattutto alla facilità, garantita pressoché a chiunque, di raggiungere un’ampia audience con costi relativamente contenuti.

Qualcosa che rimaneva (rimane?) un sogno ad occhi aperti per i ‘vecchi media’. I quali sembrano anzi destinati a dover rincorrere eternamente le potenzialità offerte dall’innovazione tecnologica. Citando ancora Bagdikian: “nel momento che esce, ogni nuova versione del mio libro è già obsoleta, non riesco a tener testa alla velocità dei cambiamenti, e commentarne le conseguenze.” Prudente ma motivato dunque l’ottimismo riservato all’informazione online, pur ammettendo di non aver estrema familiarità con l’high-tech (“ai miei tempi vigevano solo macchine da scrivere portatili e carta carbone”) e con tematiche cruciali come quelle sollevate dal Digital Millennium Copyright Act (“alcune norme del quale dovrebbero essere sicuramente emendate.”)

Tutto ciò non fa comunque che rafforzare il concetto di base ribadito nuovamente da Bagdikian, concetto più che valido a un ventennio di distanza da quel primo ‘allarmismo’ e per il futuro prossimo. La concentrazione della proprietà delle testate d’informazione nelle mani di poche multinazionali produce effetti devastanti sulla cultura e sulla società intera. Anche perchè oggi, ha concluso il giornalista, l’attacco terrorista dell’11 settembre “viene usato come scusa per giustificare maggiore segretezza da parte del Governo,” con serie preoccupazioni suscitate dalla tendenza dell’amministrazione Bush “a non rivelare appieno le proprie policy in tempo di guerra”. D’altronde Bagdikian è tra quelli che per primo ha interrotto con successo la funesta spirale dei segreti di stato: in qualità di managing editor al Washington Post, fu strumentale nell’ottenimento del diritto (affermato dalla Corte Suprema) alla pubblicazione dei documenti segreti del Pentagono che informavano in dettaglio sul coinvolgimento degli USA nella guerra in Vietnam, posizione fino ad allora negata dalle autorità.

Al riguardo, questo rilancio di “Media Monopoly” potrebbe essere letto come ulteriore segnale di un certo malessere dei giornalisti in periodi poco sereni. Oltre un semestre dopo quei tragici eventi, nelle redazioni di alto livello serpeggia a dir poco qualche nervosismo. Sembrano confermarlo altri volumi similari freschi di stampa. Per primo, ecco “Into the Buzzsaw”, antologia voluta e curata Kristina Borjesson, ex-produttore presso CBS. I 18 saggi proposti sono redatti da giornalisti tanto valenti quanto scomodi per le grandi testate presso cui lavoravano — e dalle quali sono stati cacciati via proprio per la loro intraprendenza investigativa, come accaduto alla stessa Borjesson. La quale non riusciva a capacitarsi perchè mai CBS non volesse seguire la pista delle esercitazioni missilistiche che con tutta probabilità avevano causato la caduta del volo TWA 800 appena alzatosi da New York. Pressata da capo-redattori ed editori, ha dovuto ovviamente lasciar perdere e cercarsi un altro posto di lavoro. Analoga la fine di Gary Webb, che sul San Josè Mercury News andava narrando nei dettagli le connessioni della CIA con i cartelli dell’eroina.

Il volume ospita altri interventi su temi quali il massacro della guerra in Corea, i pericoli della somministrazione di ormoni della crescita dei bovini, il mancato rispetto istituzionale per i voti dei neri nelle elezioni presidenziali. Tutte questioni finite presto nel dimenticatoio dell’informazione, e quindi impopolari, ma non per questo meno serie — tant’è che il libro viene definito ‘incendiario’ in un articolo di presentazione apparso su AlterNet. Non a caso i report di questi giornalisti sono stati subito bollati come ‘conspiration theories’, nonostante le numerose prove portate in più occasioni. Per tutta risposta, anzi, oltre a depistaggi, censure e licenziamenti ad alcuni loro colleghi è stato infine imposto di scrivere pezzi di ‘chiarimento’ per i lettori — bugie foraggiate dalle corporation, è ad esempio il caso della Monsanto nel caso degli ormoni della crescita.

Panni sporchi che purtroppo raramente raggiungono il cittadino comune, anche se forse stavolta sembrano esserci maggiori speranze. Ciò grazie soprattutto al successo di “Bias,” volume attualmente tra i best-seller (da 20 settimane nei primi 10 del New York Times). Bernard Goldberg, stagionato giornalista TV per CBS illustra esaurientemente in che modo “i media distorcono le news.” Lasciato due anni fa il network televisivo, Goldberg ha praticamente ampliato quanto scritto in un editoriale apparso già nel 1995 sul Wall Street Journal, accusando gran parte del mondo giornalistico di manipolare esplicitamente le notizie. Costringendo l’informazione, e chi ne usufruisce, a seguire i voleri di corporation, potentati, fonti governative e via di seguito.

Sempre sperando che anche stavolta qualcuno non ci metta una grossa pietra sopra…

L'autore

  • Bernardo Parrella
    Bernardo Parrella è un giornalista freelance, traduttore e attivista su temi legati a media e culture digitali. Collabora dagli Stati Uniti con varie testate, tra cui Wired e La Stampa online.

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