Molti anziani sono convinti di avere studiato quanto basta a scuola e che, terminata questa, si viva di rendita dell’istruzione ricevuta.
Il mondo digitale ha sbriciolato questa aspettativa, a partire – sempre nel secolo scorso – dall’inglese, che tanti adulti non hanno più coltivato nell’illusione che bastassero le lezioni del loro docente dalla pronunciata inflessione dialettale (non dello Yorkshire) e oggi si ritrovano alle prese con il web.
Oggi esistono vere materie trasversali, vitali per eccellere nel rapporto con la tecnologia, che la scuola ignora più o meno sistematicamente. Senza di esse si finisce come descritto dallo psicologo positivo Shawn Achor in una conferenza TED:
If we study what is merely average, we will remain merely average.
Ci vorrebbero cattedre, per esempio, di: trigonometria (non più angolo noioso di matematica ma branca autonoma); ricerca dati; editing e montaggio mediale e multimediale; teoria del colore; linguaggi di marcatura; scrittura per i media digitali; modellazione 3D; educazione digitale (magari meno fallimentare di quella civica); tecniche del parlare in pubblico; etica dell’informazione; elementi di networking; elementi di sistemi client/server.
Per lo più sono argomenti negletti o previsti magari nella scuola secondaria superiore o all’università, quando invece dovrebbero apparire in forma semplice in quinta elementare se non prima.
Neanche le materie trasversali consentono di vivere di rendita. Una prova: per 499 dollari si compra una stampante 3D. Tra dieci anni sarà di uso comune alla metà del prezzo o meno.
Ognuno pensi alle nozioni ricevute durante la scuola dell’obbligo e quali di esse favoriscono l’uso ottimale di una stampante 3D.
Chiedersi a che cosa serva non vale: ho ancora in mente l’arroganza di certi amministratori delegati del 1990, per i quali Internet era un giocattolo e ragazzino-lasciami-lavorare.