Non vorrei duplicare l’ottimo articolo di Carola Frediani su La Stampa, ma farei notare come, regolarmente, si presentino gli stessi cliché. Abbiamo compiuto grandi progressi tecnologici ma, come persone, non siamo tanto migliorati.
Tutto il discorso nasce dagli attacchi di Parigi. All’indomani di una nuova pagina di brutta storia umana (e neanche l’ultima, visto che in questi ultimi giorni vi sono stati attentati in Nigeria e in Mali ma, dato che sono in Africa, non se li è filati nessuno), qualunque opinionista, compresi quelli che hanno un quoziente di intelligenza che non supera i sei punti Cattel, si è sentito legittimato a commentare quanto accaduto.
E quindi? Abbiamo visto lunghe analisi sul perché l’Isis sta spadroneggiando in Medio Oriente mentre le superpotenze mondiali stanno traccheggiando? Abbiamo letto dissertazioni sulla situazione dello scacchiere mediorientale? Qualcuno ha approfondito l’argomento terrorismo e sul fatto che questa sembra solo una guerra di religione? Oppure sul fatto che questi ******* (riempire con insulti a piacere) sono solo dei sanguinari che nulla hanno realmente a che fare con l’Islam?
No, ci mancherebbe altro, per scrivere di queste cose bisognerebbe che qualcuno studiasse prima di prendere in mano la tastiera. Molto meglio allora dedicarsi a qualche spauracchio guadagna clic, di quelli che fanno venire paura all’opinione pubblica e danno alla casalinga di Voghera un argomento di conversazione con figli e parenti.
Colpa di Telegram
E quindi, udite, gli attacchi di Parigi sono tutti colpa della tecnologia e, in particolare, della crittografia, di Telegram, di Bitcoin e della Playstation 4 (mia madre ha sempre pontificato sul fatto che i videogiochi avrebbero rovinato il mondo).
Ritengo i lettori di Apogeonline sufficientemente intelligenti da non dover rispiegare loro perché queste tesi siano solo, nella migliore delle ipotesi, il frutto della dissertazione di alcune menti malate. Quello su cui vorrei porre l’accento è che la tecnologia viene sempre tirata in ballo, specialmente quella utile per proteggere la privacy dei cittadini.
Non solo; ricordiamo che ogni volta che accadono queste cose, i politici sfruttano l’emotività dei cittadini per chiedere loro di rinunciare alle loro libertà in cambio di una fantomatica sicurezza che, regolarmente, non arriva mai. Si continuano a perdere libertà, ma si continua ad essere vittime del terrorismo. Appare evidente che la cosa non funziona.
Pensiamo all’11 settembre. Il frutto di quell’onda emotiva (oltre ad una guerra inutile verso un nemico identificato a suon di falsi rapporti dell’intelligence) fu il Patriot Act. Legge liberticida saltata solo lo scorso giugno. Gli Americani sanno cosa hanno perso, in termini di libertà civili, ma il ritorno? Penso che se dicessi nessuno pochi avrebbero da ridire.
Andata senza ritorno
In un post su Facebook dell’amico Matteo G.P. Flora, egli citava una statistica per cui l’80 percento degli italiani sarebbe disposto a barattare parte delle sue libertà per una maggior sicurezza. Matteo commentava la cosa dicendo, parafraso per maggiore educazione, che ora aveva la certezza di poter identificare l’80 percento degli italiani con un epiteto che richiama le gonadi maschili.
Senza scendere in un giudizio così definitivo, rimane il fatto che l’opinione pubblica continua, nonostante sia il secolo dei nativi digitali (perdonatemi una risata beffarda alla Sheldon seguita da un pappapero), ad essere profondamente ignorante in campo tecnologico. Questo si traduce nel fatto che, contemporaneamente, non riesce a dare un reale valore ai propri diritti digitali (primo su tutti la privacy) e che può essere facilmente manipolabile.
Quindi in Europa c’è un fiorire di leggi liberticide che, nel nome del terrorismo, autorizzano i governi a fare quello che vogliono con gli affaracci dei propri cittadini. Sia ben chiaro, non sono un fautore dell’anarchia. Ritengo però che in uno stato di diritto vi debbano essere dei limiti ben chiari e ben segnati. Limiti ai diritti dei cittadini ma contestualmente anche limiti precisi ai poteri che il governo, tramite una forza di polizia, può esercitare.
Esistono diritti di tutela e garanzia durante i processi di indagini che NON possono essere prevaricati, anche agitando gli spauracchi del nostro secolo, come pedofilia prima e terrorismo ora. Ripensiamo per esempio ad una legge presentata da un deputato di derivazione televisiva (parlo di una delle sorelle Carlucci), che, partendo da un testo pubblicizzato come antipedofilo, nascondeva in realtà un paio di passaggi dove si inasprivano le pene per chi condivideva materiale coperto da copyright online (ma va? O meglio, ma vai a nasconderti, beota!).
Ora che succede? In molti Stati si vogliono sospendere le tutele relative ai cittadini in caso di terrorismo o sospetto terrorismo. Molti ragionano dicendo e chi se ne frega, mica vado in giro con un AK-47 per piazza del Duomo, a me non si applica.
Il sospetto è l’anticamera di tutto
Però quel sospetto terrorismo è proprio brutto. Se sei un commercialista di Ivrea (città a caso come Voghera) e fai un po’ di contabilità creativa per permettere ai tuoi clienti di pagare meno tasse, e lo Stato è in crisi di cassa (perenne in Italia), la Guardia di Finanza può sospettarti di terrorismo, riempirti di trojan e cimici e, sapendo cosa fai, preparare decreti ad hoc per effettuare una perquisizione ben sapendo cosa venire a prendere.
Certo, il commercialista sta infrangendo la legge. Ma si sta usando un decreto legge scritto male e sull’onda emotiva, e permettendo a una forza di polizia tributaria di fare intelligence e sospendere le garanzie che dovrebbe riservare a un sospettato (non di terrorismo).
Se invece del commercialista di Ivrea foste voi, sospettati di terrorismo in quanto amici di uno su Facebook che frequenta gruppi islamici, non per forza estremisti ma sospettati di terrorismo? Sembra così strano? Vediamo per quanto tempo sono durate la Santa Inquisizione o la caccia alle streghe. E insisto, non siamo migliorati da allora.