I marketing manager migliori sono, di mestiere, sempre assetati di dati e nuotano nelle statistiche che escono dal sito web come pesci nell’acqua. Ho investito cinquecento euro in quella campagna AdWords, Google mi ha mandato cinquemila clienti, perché solo l’un percento ha comprato qualcosa, dove si sono persi gli altri, e perché il costo contatto è salito nell’ultima settimana? Quanta gente si è iscritta alla newsletter quando abbiamo offerto il buono sconto da tre euro?

Chi di voi ha ideato la newsletter BH, che ci ha fatto perdere trecento iscritti?
Saziare questa sete di informazioni non è facile per il webmaster di turno. Per capire cosa stanno combinando i visitatori sul sito web aziendale una volta c’erano solo i poveri, piccoli, innocenti, vilipesi cookie. Poi siamo passati ai velenosi sistemi di remarketing.
Alcuni consumatori si risentono nel venire tracciati in ogni singolo clic (io per primo e, anzi, nel mio piccolo non mi capacito del motivo per cui non lo facciano quasi tutti) e adottano metodi per ridurre la pressione. Il sistema più gettonato è la navigazione incognito di Chrome, alias finestra anonima di Firefox o finestra privata di Safari. Attivandola, il browser nasconde i cookie precedentemente registrati e mantiene quelli nuovi solo sinché la finestra resta aperta; uguale destino spetta alle basi dati che HTML5 permette di generare dentro al browser.
E però. L’autore del sito può rendersi conto che state cercando di anonimizzarvi. Tracciare comunque l’utente a questo punto è un’arte. Come forse saprete, il browser dice al sito quale sia il suo nome, il numero di versione e il sistema operativo (user agent), perché ha senso che alcuni contenuti non vengano serviti a chi usa Explorer, incapace di visualizzarli. Gli comunica quanto è grande lo schermo, per fare funzionare i siti responsive, ottimizzati sia per smartphone che per monitor da trenta pollici. Gli dice quali estensioni e plugin avete installato (si possono incorporare nella pagina web gadget Java? Adobe Flash?) Eccetera. E però, secondo voi, quanta gente oltre a voi sta usando quel browser, quella versione, quel sistema operativo, quelle estensioni, quei monitor, e decine di altre informazioni del genere? Non mi ci vuol molto, se il mio marketing manager insiste, a mettervi il sale sulla coda.
Da arte a scienza
Un gruppo di ricercatori della IBM ha pubblicato un documento che trasforma l’arte in scienza, introducendo criteri statistici (bayesiani, per chi ne mastica) per il riconoscimento dei visitatori, correlando il modo di muoversi dentro al sito di visite apparentemente distinte in un singolo profilo cliente. Per esempio: se Amazon lo volesse, potrebbe dedurre che voi, acquirenti abituali di libri per bambini, pelouche e dischi di Barry Manilow siete anche interessati a ben altre merci.
Chi vi traccia e vi straccia gli zebedei ha dunque molte armi nel suo arsenale e la cosa è sinceramente preoccupante per quelli che hanno motivi inusitatamente buoni per voler restare anonimi. Attivisti, dissidenti e spiriti liberi a questo punto debbono affidarsi a metodi straordinari e straordinariamente complessi se vogliono davvero restare anonimi, e comunque cominciare a pensare a una buona assicurazione sulla vita per tutelare vedova ed orfani. Guardando invece la cosa dal punto di vista del bicchiere mezzo pieno, questa settimana in azienda offriamo uno sconto del 25 percento sulla vostra prima campagna AdWords e siamo Google Partner certificati Analytics, interessa?