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Lo Stallman-pensiero, al meglio e in italiano

15 Maggio 2003

Lo Stallman-pensiero, al meglio e in italiano

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"Software libero, Pensiero libero", raccolta di saggi e interventi che copre 20 anni di storia del free software

Di Richard Stallman e software libero si è scritto non di rado in questo spazio. E si continuerà certamente a farlo, considerata l’importanza centrale di entrambi i soggetti. Stavolta l’occasione per insistere arriva dalla pubblicazione, avvenuta nei giorni scorsi, di un volume cruciale, soprattutto per il panorama italiano. Si tratta di Software libero, Pensiero libero: Saggi scelti di Richard Stallman (Stampa Alternativa, collana Eretica Saggi, ISBN 754-4, pp. 128, euro 9,00). Il volume sarà lanciato alla Fiera Internazionale del Libro di Torino (15-19 maggio) nello spazio di Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri, (padiglione 2, stand L40). In contemporanea appare la versione online integrale, liberamente consultabile e distribuibile come di dovere. In pratica, il primo volume della versione italiana di “Free Software, Free Society: Selected Essays of Richard M. Stallman”, uscito per GNU Press sul finire dello scorso anno. Il secondo volume italiano è previsto in autunno.

Un progetto importante, appunto, perché raccoglie per la prima volta in un libro gli scritti e gli interventi più significativi di Richard Stallman, alcuni dei quali disponibili soltanto online grazie all’attività del gruppo traduttori del progetto GNU, implicati anche in questo lavoro (insieme al sottoscritto). Una panoramica attenta e articolata che copre vent’anni di interventi pubblici su argomenti che hanno modificato (e continuano a modificare) la stessa concezione dell’informatica e della tecnologia per come le conosciamo. La raccolta include tra l’altro una serie di documenti essenziali, quali il “Manifesto GNU” datato 1984 (leggermente rivisto per l’occasione), la definizione di software libero, la spiegazione del motivo per cui sia meglio usare la definizione ‘software libero’ anziché ‘open source’. Il tutto mirando ad un pubblico il più vasto possibile: “non occorre avere un background in computer science per comprendere la filosofia e le idee qui esposte,” come recita la nota introduttiva dell’edizione originale inglese.

Un condensato dello Stallman-pensiero, dunque, a sostegno della condivisione del codice, ma ancor prima e soprattutto a tutela di un bene essenziale di ogni società: la libera e totale circolazione delle idee per ciascuno e per tutti. Motivo per cui si consiglia caldamente di non lasciarsi sfuggire la ghiotta occasione e passare all’attenta lettura dell’intero volume, oltre che procedere con il passaparola. Intanto, ecco qui di seguito alcuni stralci tratti da saggi finora inediti in italiano e forse poco noti anche in inglese, ma non per questo meno essenziali. Si parte con “La scienza deve mettere da parte il copyright”, testo apparso originariamente nel 1991 sul sito della rivista Nature:

Le regole attualmente in vigore, note come copyright, vennero stabilite all’epoca dell’invenzione della stampa, metodo intrinsecamente centralizzato per la copia a livello di massa. Nel settore della stampa, il copyright sugli articoli di queste pubblicazioni riguardava soltanto gli editori, imponendo loro l’ottenimento del permesso per la pubblicazione dei materiali, e i potenziali plagiaristi. Ciò consentì a quell’attività editoriale di operare e diffondere conoscenza, senza interferire con l’utile attività di ricercatori e studenti, sia in quanto autori o lettori dei testi. Si trattava di norme adeguate a quel sistema. Tuttavia, la tecnologia moderna per l’editoria scientifica è il World Wide Web. Quali le norme che possono garantire al meglio la massima diffusione di materiale e conoscenze scientifiche sul Web? Gli articoli andrebbero distribuiti in formati non-proprietari, garantendone il libero accesso a tutti. E chiunque dovrebbe avere il diritto a crearne dei mirror, ovvero a ripubblicarli altrove in versione integrale con gli adeguati riconoscimenti. Regole queste che andrebbero applicate sia a testi passati che futuri, quando venga distribuito in formato elettronico. Ma non esiste alcun bisogno reale di modificare l’attuale sistema di copyright relativo alle pubblicazioni cartacee, poiché il problema non riguarda quel settore.

Questi invece alcuni brani tratti da “Rilasciare software libero se lavorate all’università”, saggio dello scorso anno:

Ahimè, molti amministratori universitari dimostrano una tendenza caratterizzata dall’avidità verso il software (e verso la scienza); vedono nei programmi l’opportunità per trarne dei profitti, non per contribuire alla conoscenza umana. Gli sviluppatori di software libero hanno dovuto far fronte a questa tendenza per almeno vent’anni.

Nel corso degli anni, spesso esponenti universitari hanno contattato la Free Software Foundation per chiedere consiglio su come convincere gli amministratori che considerano il software soltanto come qualcosa da vendere. Un buon metodo, applicabile anche a progetti finanziati ad hoc, è basare il vostro lavoro su un programma già esistente rilasciato sotto la licenza GNU GPL. A quel punto potete dire agli amministratori: “Non possiamo rilasciare la versione modificata con una licenza che non sia la GNU GPL, qualsiasi altro modo violerebbe il diritto d’autore”.

Per tutto ciò che fate, sollevate presto la questione — sicuramente prima che il programma sia stato sviluppato per metà. A questo punto, l’università avrà ancora bisogno di voi e potrete giocare le vostre carte: dite all’amministrazione che finirete il programma, lo renderete utilizzabile, se accetterà per iscritto che sia software libero (e accoglierà la vostra scelta di licenziarlo come software libero). In caso contrario, ci lavorerete sopra quel tanto che basta per scriverne una ricerca, e senza mai creare una versione sufficientemente evoluta da poter essere distribuita. Quando gli amministratori si renderanno conto che la scelta è tra avere pacchetti di software libero che porteranno credito all’università o non avere proprio niente, generalmente sceglieranno la prima opzione.

Quanto segue, infine, è l’apertura del saggio “Cos’è il copyleft?” (1996):

Il copyleft [permesso d’autore] è un metodo generale per realizzare un programma di software libero e richiedere che anche tutte le versioni modificate e ampliate dello stesso rientrino sotto il software libero. La maniera più semplice per rendere libero un programma è quella di farlo diventare di pubblico dominio, senza copyright [diritto d’autore]. Ciò consente a chiunque di condividere tale programma e le relativi perfezionamenti, se questa è l’intenzione dell’autore. Ma così facendo, qualcuno poco incline alla cooperazione potrebbe trasformarlo in software proprietario. Potrebbe apportarvi delle modifiche, poche o tante che siano, e distribuirne il risultato come software proprietario. Coloro che lo ricevono in questa versione modificata non hanno la stessa libertà riconosciuta loro dall’autore originale; è stato l’intermediario a strappargliela. L’obiettivo del progetto GNU è quello di offrire a tutti gli utenti la libertà di ridistribuire e modificare il software GNU. Se l’intermediario potesse strappar via la libertà, potremmo vantare un gran numero di utenti, ma privati della libertà. Di conseguenza, anziché rendere il software GNU di pubblico dominio, lo trasformiamo in “copyleft”.

L'autore

  • Bernardo Parrella
    Bernardo Parrella è un giornalista freelance, traduttore e attivista su temi legati a media e culture digitali. Collabora dagli Stati Uniti con varie testate, tra cui Wired e La Stampa online.

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