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Linux sul desktop, momento felice ma fuggente

13 Novembre 2003

Linux sul desktop, momento felice ma fuggente

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Il mondo Linux ha fatto passi da gigante ed è ora un contendente serio, complice anche l'inerzia del monopolista Microsoft. Ma l'ostacolo principale al suo successo è, paradossalmente, la passione dei suoi sostenitori. Riflessioni per non perdere un'occasione irripetibile

Certo che Linux ne ha fatta di strada in questi anni. Da oscuro oggetto per smanettoni, il cui scopo ricorsivo era sostanzialmente compilare il proprio kernel, è maturato al punto di competere tranquillamente con Windows e di sostituire in tutto e per tutto il software del monopolista. IBM, dopo mesi di cautela, ha annunciato che Linux è pronto a sbocciare sul desktop. I problemi e i costi del software Microsoft sono ben noti. Allora come mai non assistiamo a una migrazione in massa verso il software del pinguino?

So di attirarmi montagne di indignazione, ma come appassionato sostenitore di Linux e soprattutto delle libertà che il software libero ci restituisce, c’è una cosa che devo dire a malincuore. L’ostacolo a Linux sul desktop non è tecnologico, ma psicologico, e viene dall’interno: gran parte della comunità Linux non è disposta a scendere a compromessi pur di facilitare la diffusione della propria creatura, ora che è maturata. Sembra quasi che lo scopo di Linux sia diventato, ricorsivamente come in passato, alimentare la comunità Linux; al diavolo tutto il resto, applicazioni pratiche comprese, in nome della purezza.

Nei discorsi dei linuxiani che incontro online e nel mondo reale vedo infatti troppo spesso che si è perso di vista il vero fine ultimo di qualsiasi sistema operativo: servire l’utente, e servirlo bene. Nell’espressione software libero ciò che conta non è il software; è l’essere libero, perché se il software è libero, lo siamo anche noi.

Forse è il momento di farsi un esame di coscienza e fermarsi un attimo a valutare quali sono i reali obiettivi di questi anni di sviluppo a rotta di collo dell’unica alternativa realistica al monopolio Microsoft. Da questo esame di coscienza dipende in gran parte il futuro dell’informatica. Perché senza un minimo di compromesso, se la comunità Linux non si evolve come ha fatto il suo software, non si può andare avanti. E che senso ha chiamare “libero” un software che rimane confinato a una minoranza aristocratica?

Il sonno del monopolista

Credo che l’esame di coscienza sia necessario ora più che in passato perché quello attuale è un momento particolarmente importante nell’evoluzione di Linux. Intanto che Linux progredisce a balzi, il suo rivale è in fase di stanca. Dal punto di vista dell’utente, lo sviluppo del sistema operativo Microsoft è infatti sostanzialmente fermo, rattoppi a parte, fino al 2006, data attualmente prevista per l’uscita del successore di Windows XP, denominato Longhorn. La nuova versione di Microsoft Office offre poco di veramente nuovo e interessante per l’utente medio, a parte forse un Outlook che finalmente permette di purgare l’HTML della posta ricevuta e lo spam, cosa che però fanno già da tempo molti altri client di posta. Le vere innovazioni di Microsoft Office (gestione dei diritti digitali sui documenti e uso dell’XML) interessano soltanto alle grandi aziende, che però sembrano riluttanti ad adottare il nuovo prodotto di Redmond.

Lasciamo perdere il povero Internet Explorer, che soltanto ora annuncia (ma per l’anno prossimo) l’arrivo di un’opzione per bloccare le fastidiosissime pagine pubblicitarie pop-up, cosa che tutti i browser alternativi fanno da tempo immemorabile, e che non ha ancora abbracciato innovazioni ergonomiche come il tabbed browsing (finestre del browser “impilate” sullo schermo e accessibili rapidamente cliccando su una linguetta senza intasare la barra delle applicazioni) e i gesti del mouse (in Opera, per esempio, basta premere il pulsante destro del mouse e spostare il mouse a destra per andare alla pagina successiva).

Microsoft, insomma, ha perso il treno dell’innovazione. In realtà il suo apparente letargo è una rincorsa molto lunga: serve a introdurre in Longhorn una serie di novità radicali, fra cui il discusso Palladium/NGSCB, che però sono mirate a consolidarne il monopolio tramite l’hardware, rendendo difficile o impossibile l’uso di altri sistemi operativi, più che a offrire seri vantaggi all’utente. Per dirla breve, se il mondo Linux vuole avere successo, deve approfittare di questa irripetibile finestra temporale. Dopo sarà troppo tardi.

Linux pronto, linuxiani riluttanti

Il bello è che mai come oggi il software per Linux è pronto a cogliere quest’occasione. È un momento magico, rendiamocene conto: Linux è sempre più stabile, versatile e facile da usare. OpenOffice.org può sostituire in gran parte Microsoft Office e condividerne i file. I browser per Linux alternativi a Internet Explorer non si contano, e sono indiscutibilmente più ergonomici e sicuri del prodotto Microsoft. Linux legge e scrive tranquillamente i filesystem Microsoft. Grazie a Samba, una macchina Linux può condividere risorse con macchine Windows in modo trasparente. Progetti come DriverLoader, che permettono di usare sotto Linux i driver Windows delle periferiche, promettono di superare l’ostacolo ricorrente delle periferiche non supportate. Eccetera, eccetera.

Fra l’altro, sono gli utenti Windows stessi a reclamare un’alternativa, spaventati dalla devastazione senza precedenti causata dai virus/worm di quest’estate. Collegare un Pc Windows a Internet e trovarsi infettati da Blaster in meno di un minuto senza fare nulla, mentre gli utenti Linux restano immuni, è un’esperienza molto più educativa di mille prediche a favore dell’open source.

Il mercato sembrerebbe dunque maturo per la svolta, eppure la svolta non arriva. Ci sono tanti segnali di interesse, come quelli dei governi di Cina, Russia e Regno Unito, ma restano segnali; ci sono grandi aziende che hanno iniziato una cauta migrazione, ma sono isole nell’oceano. Di questo passo, il 2006 arriverà quando si starà ancora dibattendo su quale distribuzione di Linux vada adottata.

I linuxiani non me ne vogliano, ma la colpa è in gran parte loro. Quando un utente Windows dice che vorrebbe sì passare a Linux, ma ha bisogno di poter continuare a usare certo software che esiste soltanto per il sistema operativo Microsoft (l’esempio classico è Office), gli viene forse proposto di usare Crossover Office, che consente di eseguire facilmente moltissime applicazioni Windows (compresi Office e Internet Explorer) sotto Linux, o VMWare? No. Gli si indica la Via della Sofferenza che Conduce alla Purificazione: installare Wine e trovare il modo di far funzionare ogni singola applicazione, perché Wine è puro e gratuito, gli altri sono prodotti commerciali e/o a sorgente chiuso. E se Wine, come tanti altri applicativi geniali ma ostici per Linux, ha un manuale che sembra la versione Extended Play del discorso dell’Architetto in Matrix Reloaded? Irrilevante. Anzi, è già tanto se il povero aspirante linuxiano non viene rimproverato pedantemente perché non usa come un mantra l’espressione corretta “GNU/Linux” al posto del più agile “Linux”.

Crossover Office e VMWare costano, certo. Ma per i non appassionati, anche il tempo perso dietro a un software recalcitrante è denaro. Strano ma vero, esistono tante persone che non si divertono a fare a pezzi e rimontare il codice di un sistema operativo: vogliono semplicemente usare il computer in modo sicuro e affidabile, e sono disposti a pagare per farlo. Questo è un concetto difficile da assimilare per chi ama Linux e trova insopportabile questa mancanza di fede. Ci si dimentica troppo spesso che il free in “free software” si traduce con “libero”, non con “gratuito”, e che non è immorale farsi pagare per il software solo perché lo fa zio Bill. Eppure, non so perché, parlare di software commerciale sotto Linux è quasi un tabù.

Molti sostenitori di Linux non sono disposti al minimo compromesso, neppure per accogliere una pecorella smarrita. Trovano ripugnante l’idea che un utente possa passare a Linux con una migrazione graduale, cominciando dapprima ad usare sotto Windows software disponibile per entrambe le piattaforme (il già citato OpenOffice.org, Apache, Opera, Mozilla, Thunderbird) e formati non proprietari, per poi sostituire il sistema operativo senza perdere le applicazioni che gli sono familiari. Nossignore: la Vera Migrazione si fa col botto. È chiaro che in queste condizioni le pecorelle disposte a saltare lo steccato saranno poche.

Parlando di compromessi, un esempio specifico di casa nostra è la diatriba StarOffice/OpenOffice.org nelle scuole italiane. Come accennato alcuni mesi fa, Sun offre gratis a tutte le scuole italiane StarOffice, la variante parzialmente proprietaria ma più raffinata di OpenOffice.org. E cosa fanno i linuxiani? Storcono il naso: pretendono che si usi OpenOffice.org, perché è la versione open source dura e pura, e rifiutano di collaborare all’introduzione di StarOffice. Si strappano i capelli quando Sun mette il proprio logo nella schermata iniziale di OpenOffice.org, dimenticando che Sun contribuisce non poco allo sviluppo di OpenOffice.org con uomini e mezzi, e che senza il suo contributo OpenOffice.org non sarebbe mai nato. Risultato: gli studenti e i docenti continuano a usare il prodotto Microsoft e sfuma pateticamente l’occasione di educarli alle libertà dei formati non proprietari (nel caso specifico XML, identico per StarOffice e OpenOffice.org). Bella mossa.

Passione mal diretta

La passione per Linux porta a questi estremismi; sono comprensibili, ma non accettabili. Se lo scopo di Linux è ridare all’utente, anzi al maggior numero possibile di utenti, la libertà informatica che ha perso in questi anni di monopolio, questo atteggiamento fondamentalista è semplicemente fallimentare. Occorre ingoiare il rospo e sacrificare un po’ di purezza pur di raggiungere uno scopo moralmente più elevato. Altrimenti la battaglia è persa per tutti.

In questo momento la comunità Linux e tutto l’open source si trovano nella stessa condizione dei primi mammiferi, circondati da dinosauri molto più possenti ma assai meno agili. Grazie al loro sangue caldo (direi bollente, in certi Stallmaniani), hanno un’occasione senza pari, e probabilmente irripetibile, per sfruttare l’attuale crisi dell’ecosistema e rimpiazzare le creature giurassiche. Spero, per il bene di tutti, che non vada sprecata.

L'autore

  • Paolo Attivissimo
    Paolo Attivissimo (non è uno pseudonimo) è nato nel 1963 a York, Inghilterra. Ha vissuto a lungo in Italia e ora oscilla per lavoro fra Italia, Lussemburgo e Inghilterra. E' autore di numerosi bestseller Apogeo e editor del sito www.attivissimo.net.

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