Sono molti a dire che Linux non sia ancora pronto a compiere il “grande balzo” e ad avere, quindi, pari dignità di rango con sistemi più collaudati come Unix o i prodotti Microsoft.
E questo, soprattutto se si parla dell’uso del sistema operativo “open source” all’interno delle aziende, con grande rabbia della comunità e dei distributori del sistema libero.
Un articolo comparso sul network ZDNet, in qualche modo fa giustizia di questa ingiustizia, citando il presidente di una delle società francesi che distribuiscono Linux, Jacques Le Marois di Mandrakesoft.
Facciamo prima un passo indietro.
La contesa nasce da un rapporto pubblicato da Goldman Sachs che riporta le spese associate alle tecnologie informatiche e basato su un panel di 100 dirigenti che lavorano all’interno di aziende che fanno parte della classifica di Fortune 1000.
Ebbene, secondo quanto hanno detto gli interpellati lo studio conclude che i server Linux sono al fondo della scala.
Ecco dunque la risposta di Jacques Le Marois.
Primo punto. Non si prende mai in conto la particolarità di Linux, un software open source il cui codice è disponibile gratuitamente (e quindi non si paga).
Secondo. Anche se non fa parte della politica delle aziende, un gran numero di queste lo utilizza. Facilmente scaricabile da Internet e senza bisogno di licenze a pagamento, gli amministratori di sistema lo installano senza chiedere l’autorizzazione ufficiale ai loro superiori.
Queste spiegazioni sono suffragate, come dicevamo in altri articoli, da alcuni fatti che possono sembrare non legati.
Ad esempio, l’IBM inserisce nei suoi spot pubblicitari che reclamizzano i nuovi server che questi ultimi supportano anche Linux.
Ora, in uno spot che costa miliardi e in cui il tempo è strettamente contingentato, perché inserire questa frase?
Non certo per favorire il software open source. Piuttosto, perché la pubblicità si rivolge proprio a quegli amministratori di sistema, i responsabili della “cucina” informatica che, come dice il presidente della MandrakeSoft, installano Linux senza dire nulla.
Per tagliare la testa al toro, dunque, l’inchiesta andrebbe fatta interpellando chi effettivamente mette le mani tutti i giorni sui software e sistemi delle imprese e che ha il compito di risolvere blocchi improvvisi e malfunzionamenti.