Esiste una serie di giochi da tavolo molto particolari. Prima di tutto non sono pubblicati attraverso i canali tradizionali. Poche persone fino ad oggi hanno avuto la possibilità di giocarci. La creatrice, Brenda Brathwaite, li sta mostrando durante conferenze a tema ludico sulla costa est degli Stati Uniti. La Brathwaite, ventidue titoli attivi nel mondo dei videogame dagli anni Novanta ad oggi, sta attualmente esplorando il fronte ludico non digitale, per studiare più da vicino le meccaniche (ovvero gli “atomi” funzionali di un gioco) e come queste siano in grado di veicolare messaggi e di avere ripercussioni sulla cultura delle persone.
Brenda ha iniziato questo percorso quando la figlia le ha chiesto di spiegarle con un gioco il cosiddetto Middle Passage, ovvero il meccanismo di scambio delle merci tra l’Europa e il Nuovo Mondo che coinvolgeva la tratta di schiavi dall’Africa. Questo gioco, racconta la Brathwaite, è riuscito a spiegare il complesso fenomeno molto meglio di quanto avessero fatto le lezioni seguite a scuola. L’esperienza ha spinto la game designer ad approfondire il modo in cui le meccaniche ludiche sono in grado di comunicare e di mettere il giocatore di fronte a decisioni difficili e alle loro conseguenze. Per questo ha deciso di sviluppare una serie di sei giochi da tavolo, che ha intitolato, parafrasando McLuhan, The mechanic is the message. La serie ad oggi comprende il già citato Middle Passage, Siochan Leat, un gioco sulle origini irlandesi della sua stessa famiglia, e Train.
Train si presenta come un classico gioco del genere “race to the limit”, cioè una variante del gioco dell’Oca, nel quale vince chi per primo raggiunge un traguardo definito. Ogni giocatore ha a disposizione una rotaia e il vagone di un treno. Lo scopo? Caricare quante più pedine possibili all’interno del vagone e successivamente scaricarle al termine del viaggio, dove l’estrazione di una carta “Terminus” sancirà la destinazione finale del convoglio. Durante il viaggio non mancano gli imprevisti sotto forma di carte azione che i giocatori possono utilizzare per influenzare l’esito della gara, scambiando per esempio la posizione del treno con quella di un altro giocatore, costringendolo a scaricare tutti i suoi passeggeri e così via. Quello che colpisce in modo indelebile le persone che per la prima volta giocano a Train è la scritta che si trova sulla carta “Terminus” estratta dal vincitore. Ognuna di queste carte, infatti, reca il nome di un campo di concentramento nazista. Auschwitz, Mauthausen, Dachau sono parole che con forza conferiscono significato agli elementi di gioco. Quelle pedine gialle, dalla forma umana stilizzata, ora sono i deportati ebrei sulla via verso un campo di concentramento. La finestra sulla quale poggia la plancia di gioco, con uno dei vetri ritualmente rotto prima di cominciare la partita, richiama la notte dei cristalli. Ma ancora di più la macchina da scrivere sulla quale si trovano le regole del gioco, un originale modello delle SS che la Brathwaite stessa ha acquistato, getta un’ombra sinistra sull’approccio stesso del giocatore, pronto a seguire ciecamente quelli che ora sembrano ordini perentori.
L’emergere di una situazione simile può forse fare pensare a un gioco tutto sommato ordinario che conta su quell’unico gesto finale per generare l’effetto scioccante. In realtà non è così. Come la stessa Brathwaite osserva, l’esperienza di Train non è meno forte se provata da chi già conosce l’esito del gioco. Il messaggio sta nelle meccaniche, anche negli stessi gesti che il giocatore deve eseguire per poter portare a termine la sua missione: le pedine entrano con difficoltà attraverso la stretta apertura del vagone, devono essere stipate con fatica, e altrettanto difficilmente possono essere tirate fuori. Ogni gesto nel gioco è pensato per avere un preciso significato, e conoscere l’epilogo del gioco non basta a rendere questo significato meno incisivo, tutt’altro.
Train è un’esperienza al contempo fisica e sociale. Il che porta immediatamente a pensare alle recenti evoluzioni del medium ludico, che attraverso le interfacce come Natal o WiiMote sembra conferire un’importanza sempre maggiore all’interazione di tutto il corpo e attraverso la connessione con i social network ne ripropone, potenziandole, le caratteristiche sociali. Secondo Brenda Brathwaite le interfacce gesturali sono molto importanti per offrire al giocatore un’esperienza completamente nuova, ma non sono fondamentali da parte di chi il gioco lo progetta. Il game designer ha dalla sua strumenti molto più sottili per creare esperienze anche più coinvolgenti. Per quanto riguarda i social network, invece, lì l’esperienza è più interessante. Facebook rimane una piattaforma ludica alla quale fare attenzione, molto più di Twitter, i cui esperimenti, fino ad oggi, non si sono rivelati così soddisfacenti.
La facilità con cui, attraverso i social network, è possibile diffondere un gioco e generare una discussione intorno ad esso aggiunge un tassello a un mosaico che rivela ogni giorno di più come i giochi, con la loro interattività e con i messaggi che nascondono dietro le meccaniche, possano diventare (e in qualche modo già siano) il medium più importante di questo millennio. O quantomeno una forma d’arte a tutti gli effetti, in grado di coinvolgere ed emozionare anche senza necessariamente divertire.