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L’economia della partecipazione

30 Gennaio 2007

L’economia della partecipazione

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Wikinomics e Convergence Culture, due libri raccontano le pratiche e le potenzialità della collaborazione diffusa sulle reti digitali

Di questi tempi, il termine Wikinomics merita ben poche spiegazioni, meno che mai su questa testata. Si tratta di sviluppare al meglio la teoria e, ancor più, la pratica di sfruttare al meglio il potere della collaborazione di massa – grazie alle tecnologie wiki-based e ai diffusi progetti partecipativi in atto. Analogamente familiari sono i temi affrontati nel libro dall’omonimo titolo, fresco di stampa negli Stati Uniti, curato da Don Tapscott, affermato autore ed esperto in business strategy, in collaborazione con Anthony Williams, docente alla London School of Economics. Eppure questo lavoro merita attenzione per mettere a fuoco non solo i meccanismi alla base del cambiamento in corso a livello di business, ma anche per capire «come prosperare in un mondo dove le nuove tecnologie di comunicazione stanno democratizzando la creazione di valore».

Con un approccio divulgativo ma per nulla superficiale, il bello del libro è proprio che si (e ci) proietta parecchio nel futuro, fornendo una sorta di mappatura per quei piattaforme partecipative che possono far prosperare sistemi operativi e club locali, enciclopedie e fondi d’investimento, business e politica. Grazie al taglio tipicamente pragmatico, offre un ottimo spaccato della trasformazione abbracciata dalle grandi corporation, come il «vibrante ecosistema imprenditoriale creato da Procter&Gamble», sottolineando al contempo forza e potenzialità delle miriade «nuove forme di produzione collaborativa attivate da Flickr, Second Life, YouTube e altre comunità online». Tutto ciò tenendo sempre aperto il processo in evoluzione e l’osmosi reciproca. Né gli autori fanno mistero del fatto che il volume derivi da un progetto di ricerca dal taglio schiettamente imprenditoriale, condotta in varie fasi fin dal 2000 tra svariati business nord-americani – sotto l’egida di New Paradigm, il think-tank fondato dallo stesso Tapscott nel 1992, e grazie a un totale di nove milioni di dollari raccolti all’uopo.

Da notare che il capitolo 11 del libro (la cui versione cartacea si ferma al decimo) verrà scritto e curato cooperativamente online tramite l’apposito wiki a partire da inizio febbraio. Mentre in un post dei giorni scorsi sull’annesso blog, Don Tapscott scrive fra l’altro: «Spesso ci si chiede perchè oggi i giovani non s’interessino di politica. In genere si dice sono preda dell’apatia. Io vado però sostenendo che in realtà i ragazzi si preoccupano molto delle sorti del mondo; sono i politici che non sanno come coinvolgere i giovani nel dialogo sulle questioni che li interessano maggiormente». Sappiamo infatti bene come quest’ambito, per quanto cruciale nelle società odierne, sia abbondantemente trascurato: la comunicazione bidirezionale online e altre pratiche collaborative possono produrre grossi frutti—aspettiamoci esplorazioni ed esperimenti nel prossimo futuro, in Usa come in Italia. Nello specifico, insiste ancora Tapscott, si tratta piuttosto di rimettere mano alle “vecchie” idee degli open forum e riadattarle per i nostri giorni, dove il ricorso al wiki «per formulare le policy è soltanto una delle molte opzioni disponibili. Blog, comitati, giurie di cittadini, e il ‘digital brainstorm’ sono maturi per essere raccolti».

Dobbiamo insomma tenere aperto e molteplice il flusso conversazionale, sviluppando quella “cultura della convergenza” che significa massima circolazione e contaminazione di media, creatività, vita reale di noi individui – ben più e oltre che l’integrazione tecnologica tipo Internet-Tv o certi elettrodomestici mediatici. È questo il tema di un altro volume, uscito a fine 2006, curato da Henry Jenkins, condirettore del programma di studi comparati del MIT e anch’egli quotato divulgatore. Il quale è convinto, ad esempio, che gli appassionati di musica «vogliono avere accesso a qualsiasi contenuto, quando e come vogliono, pur se devono infrangere la legge per farlo». Da cui il suggerimento a smetterla di preoccuparsi troppo del copyright, per prendere piuttosto in mano quegli strumenti che tirano l’integrazione fra old & new media. Sono proprio questi rifacimenti creativi dei singoli, i fan che ricreano a piacimento show Tv quali American Idol o film tipo Harry Potter e Star Wars, a fornirci «una comprensione assai più ricca della relazione esistente tra diverse forme di espressione mediatica». Una visione che viene ulteriormente ampliata nel Convergence Culture Consortium del MIT che raccoglie, oltre a Jenkins, docenti e studenti, artisti e menti creative.

Anche Convergence Culture ci porta nel cuore della cultura partecipativa, stavolta per aprirci la porta a quei giri di techno-fan e agli antesignani del mash-up che danno nuova forma allo scenario contemporaneo. «Il pubblico, sfruttando la forza delle nuove tecnologie, va occupando uno spazio all’intersezione tra old e new media e chiede il diritto a partecipare dall’interno della cultura», scrive Jenkins nell’introduzione. «I produttori che mancano di far pace con questa nuova cultura partecipatoria dovranno fronteggiare una diminuzione nella fiducia e nelle entrate. I confronti e i compromessi che ne derivano andranno a definire la cultura pubblica del futuro». È quanto accade, altro caso illustrato in dettaglio nel libro, degli sfegatati che seguono così avidamente Survivor, show assai popolare su CBS, da condividerne poi via Internet impressioni e commenti, esaltandosi fino a prevedere minuziosamente cosa accadrà nella puntata successiva.

Percorsi che fanno tuttavia a pugni con le pratiche delle grandi multinazionali dell’intrattenimento, come anche con le restrittive leggi sul diritto d’autore, fino a creare non pochi fuorilegge digitali. Questioni che Jenkins mette in luce “decostruendone” la complessità e la convergenza nello stile di Marshall McLuhan. È quanto suggerisce anche Howard Rheingold nelle note di copertina, aggiungendo come i “media elettrici” immaginati dal pioniere canadese siano diventati «assai più complicati nell’odierno ambiente mediatico sempre acceso, digitale, mobile, da molti verso molti, ricco di remix, mash-up, integrazioni».

In altri termini, quel continuum collaborativo che sta rivoluzionando non solo la pop culture statunitense, ma il mondo intero. Visto che Tapscott e Jenkins ne illustrano con lucidità la teoria e le pratiche correnti, meglio dar loro ascolto—e, perché no?, partecipare.

L'autore

  • Bernardo Parrella
    Bernardo Parrella è un giornalista freelance, traduttore e attivista su temi legati a media e culture digitali. Collabora dagli Stati Uniti con varie testate, tra cui Wired e La Stampa online.

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