Avete presente la tipica bambina simpatica e intelligente che si annoia perché conclude prima degli altri e bene tutti i lavori assegnati, ed è lì che continua a chiedersi e a chiedervi “Che cosa posso fare?” Bene! Francesca era così. E stava diventando la mia spina nel fianco. Era una situazione paradossale: ero in difficoltà con una ragazzina che non aveva difficoltà.
Tutto quello che sapevo sulle difficoltà a scuola si coniugava con parole come: handicap, tempi di apprendimento, relazione, disagio socio ambientale. Non sapevo nulla di come aiutare un alunno che era in difficoltà solo perché capiva in fretta e bene le spiegazioni, e aveva una voglia matta di imparare ancora di più. Chiacchierando con le colleghe mi accorsi che il problema è sentito a livello scolastico. Si riesce a fare qualcosa per i bambini “svantaggiati” ma poco o nulla per quei bambini che sono nella fascia dell’eccellenza. Per loro è difficile mettere in atto delle pratiche quotidiane che li aiutino a valorizzare (o potenziare) le loro doti. In classe ci sono sempre troppe cose da fare per riuscire a occuparsi anche di loro in modo proficuo.
Fu allora che mi venne l’idea di portare Francesca in aula computer (un locale della scuola in cui erano stati installati nel tempo alcuni computer, per lo più regalati dai genitori degli alunni), scegliere con lei alcune clip di Publisher, stamparle e invitarla a realizzare una storia che avesse come protagonisti: un gufo, un cane e un ombrello, elementi che abitualmente non si trovano insieme.
Stavamo utilizzando e adattando la Grammatica della Fantasia di Rodari, cercando parole/disegni che potessero stimolare la fantasia. La scelta cadde su quelle parole poiché: “Occorre una certa distanza tra le due parole”, noi ne usammo tre, ma l’obiettivo non era diverso da quello proposto da Rodari quando afferma essere importante: “che l’una sia sufficientemente estranea all’altra, e il loro accostamento discretamente insolito, perché l’immaginazione sia costretta a mettersi in moto per istituire tra loro una parentela, per costruire un insieme (fantastico) in cui i due elementi estranei possano convivere”.
Francesca sembrò contenta della proposta e rientrò in classe, orgogliosa del suo foglio colorato. Era persino stata paziente quando non riuscimmo a “scaricare” l’ombrello da Publisher e dovette disegnarlo lei. Pensavo di essere a posto per qualche giorno e poter evitare la fatidica domanda: “Che cosa posso fare?” Invece non fu così.
Ben presto anche gli altri ragazzi della classe, attirati dal foglio colorato, un po’ gelosi di Francesca che faceva un lavoro tutto per lei, iniziarono a trascurare e finire in fretta i loro lavori, chiedendo di poter avere dei disegni e di scrivere una storia. Quando le richieste divennero troppo numerose dovetti capitolare.
Il lavoro che era nato per un’alunna “in difficoltà” venne esteso a tutta la classe. A Francesca rimase l’onore di battezzare la raccolta delle storie con il cane, il gufo e l’ombrello con il nome che poi
è rimasto: “I fumetti perdi tempo”.
La scelta di continuare questo primo lavoro in aula computer venne un po’ da sé e un po’ su richiesta dei ragazzi che, avendo iniziato a frequentare l’aula, la vedevano come un modo simpatico di rompere la routine di giornate scolastiche fatte di otto ore, così come accade nel tempo pieno milanese. In seguito ci venne in mente che sarebbe stato bello dare, alle storie che prendevano corpo, una veste editoriale per costruire un libro dinamico, una storia un po’ più simpatica del solito e costruire “il nostro libro di testo” che raccogliesse storie e clip.
È questo un esempio significativo di come l’educatore, aderendo ai bisogni formativi e alla realtà, fatta sempre più di immagini, che vive il bambino d’oggi, interpreta il proprio progetto educativo.
Valorizzare il supporto logico, editoriale e anche la tecnologia della comunicazione, quali strumenti da offrire – come proponeva Don Lorenzo Milani – porta a processi di socializzazione interessanti e ad un apprendimento del concreto e dell’utile all’integrazione vita-lavoro.
L’idea di partenza era molto semplice. Ma, come sarebbe accaduto spesso nel corso di quell’anno, le idee una volta presa forma si dilatavano in modo sorprendente e acquistavano una vita propria.
Ma andiamo con ordine.
A questa attività non si poteva certo dedicare tutto il tempo a disposizione a scuola, la programmazione prevedeva una scansione ben precisa del lavoro in classe. In quel momento non disponevamo di un laboratorio ma di un’aula informatica, con computer diversi tra loro, alcuni talmente obsoleti che non potevano essere utilizzati per lo scopo che ci prefiggevamo. Così decisi di dividere gli alunni in gruppi e di frequentare l’aula informatica una volta alla settimana, durante le ore di compresenza.
Iniziava così anche per i ragazzi il primo corso di alfabetizzazione.
Stavo facendo con la terza A quello che avevo iniziato a fare qualche mese prima: portare in classe le mie curiosità e i miei entusiasmi.
L’utilizzo del computer a scuola, come avrei scoperto in seguito, avrebbe evitato agli alunni una pericolosa forma di analfabetismo strisciante e poteva aiutarli a integrare diversi linguaggi: quello pittorico, verbale, scritto, sonoro, corporeo ed emozionale, attraverso una dimensione ludica che poteva facilitare l’apprendimento.
Il libro “Il computer elementare” è disponibile nelle migliori librerie e può essere acquistato online