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Le nuvole si aprono

09 Giugno 2014

Le nuvole si aprono

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Il primo OpenStack Day italiano e un bravo community manager danno lustro alla prima infrastruttura cloud open source.

I sistemi open source hanno vinto la battaglia di diffusione e penetrazione nelle tecnologie che utilizziamo tutti i giorni. Battaglia da qualche anno spostatasi su un altro fronte, quello più caldo e appetibile oggi: il cloud.

Creare una ubiquitous cloud computing platform for public and private clouds (come da definizione ufficiale) può sembrare una sfida riservata ai grandi colossi dell’informatica mainstream (i soliti Google, Apple, Microsoft). Invece c’è qualcuno che ci sta provando pur non avendo le spalle così larghe e soprattutto ispirandosi al modello open (il codice è infatti rilasciato con licenza Apache). Sto parlando di OpenStack, progetto avviato dall’azienda di hosting americana Rackspace con il sostegno della NASA e che ha successivamente raccolto l’adesione di oltre 200 aziende, compresi grossi nomi come Dell, HP, IBM, Cisco.

Uno dei punti di forza del progetto (aspetto fondamentale per il successo in campo open source) è la community degli sviluppatori che secondo le stime presenti sul sito ufficiale conta ad oggi quasi 17 mila partecipanti sparsi in quasi 140 paesi.

Nei giorni scorsi si è tenuto a Milano il primo OpenStack Day italiano, con interventi di ottimo livello e partecipazione superiore a qualsiasi previsione per un tema ancora così tecnico per il grande pubblico, soprattutto riguardo alle affollate sessioni pomeridiane. Invito per capire a leggere l’agenda della manifestazione pubblicata da Enter the Cloud e magari a guardare il filmato della mattinata, presente in coda a questo articolo.

Coinvolgere una community solida, vivace e competente è la principale chiave per il successo di un progetto open source. E a spiegarci quale sia la motivazione che fa da collante per tutte queste persone è un interessante articolo nel quale Stefano Maffulli, community manager di OpenStack e ancor prima community manager di Twitter per l’Italia, riporta gli esiti di un sondaggio effettuato tra 55 contributori del progetto:

I principali motivi per proporre una patch vanno dalla convenienza pratica di avere un sistema con una manutenzione costante, al desiderio di correggere i bug (scoperti durante una proof of concept o nelle fasi più avanzate di deployment) o di aggiungere funzionalità e aggiustamenti per una migliore integrazione di OpenStack con altri progetti. Inoltre, alcune persone contribuiscono anche per la crescita personale e per arricchire il proprio portfolio lavori.

Il sondaggio però si è preoccupato anche di indagare i motivi per cui a volte si tarda (o addirittura si evita) di realizzare e proporre una patch.

Tre sono i principali ostacoli. Intanto gli accordi di non divulgazione con i clienti come anche i casi di incompatibilità con le politiche aziendali in merito al rilascio di software sotto licenza open source e l’aver sottoscritto un Corporate Contributor License Agreement. Un altro gruppo di motivi del ritardo è il tempo necessario per l’iter di revisione dei contributi. […] Infine, vi è la mancanza di problemi semplici che si possano risolvere nel tempo libero.

Informazioni che risultano un’utile cartina al tornasole per chiunque abbia intenzione di avviare o prendere in carico lo sviluppo di un progetto open source fortemente basato sulla partecipazione della community.

Il testo di questo articolo è sotto licenza http://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0/.

L'autore

  • Simone Aliprandi
    Simone Aliprandi è un avvocato che si occupa di consulenza, ricerca e formazione nel campo del diritto d’autore e più in generale del diritto dell’ICT. Responsabile del progetto copyleft-italia.it, è membro del network Array e collabora come docente con alcuni istituti universitari. Ha pubblicato articoli e libri sul mondo delle tecnologie open e della cultura libera, rilasciando tutte le sue opere con licenze di tipo copyleft.

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