Le Monde Diplomatique, il baluardo della intellettualità francese diretto da Ignacio Ramonet, sta sempre più concedendo spazio al mondo di Internet, ma sorprendentemente, con non poca preoccupazione. Sia nel numero di giugno sia in quello di luglio due articoli hanno cercato di commentare l’orizzonte che si prospetta con il boom di Internet.
Certamente l’articolo di Dominique Wolton (Sortir de la communication médiatisée, Le Monde Diplomatique, juin 1999) rasenta l’inquisizione, e preoccupa ancora più perché Wolton è direttore del laboratorio Comunicazione e Politica del Centro Nazionale di Ricerca Scientifica francese. Secondo la tesi sostenuta da Wolton, le reti di comunicazione non portano a pace e comprensione, ma alla perdita di contatto con la società reale, sostituendo l’individualismo a tutti i sentimenti solidali insiti nel concetto puro di società, che si ritrova ad un tratto più fragile.
Wolton si spinge anche oltre sostenendo che Internet esclude la vita in uno stesso territorio, e quindi il condividere risorse culturali comuni: un vero e proprio spegnimento del cervello, dunque: niente più valori riconosciuti, niente più negozio dell’angolo o campetto di pallacanestro, o partita di calcio aspettando il proprio “turno” in periferia, con porte senza reti e giocatori con magliette le più disparate e usurate possibili.
Appare difficile giustificare, come scrive Wolton, il fatto che “(…) alcun sistema tecnico abbia mai dato vita a un modello di società”, con buona pace della macchina a vapore e della rivoluzione industriale. Ma anche domande come: “Ci vorrà un ‘Titanic’ della cybercultura perché gli stati prendano coscienza dei rischi che questi sistemi di informazione fanno pesare sulle libertà fondamentali?” (Voltaire un po’ rivisitato, e da un suo conterraneo. Orrore!).
Vette di progressismo vengono raggiunte quando Wolton si chiede scandalizzato e un po’ rassegnato: “Come facevamo prima? Dopo essere stati ‘in-mailati’ [entrati nell’e-mail ndr] nel nome della libertà e del progresso, non dovremo, in nome degli stessi principi, imparare a ‘disimmailarci [uscire dall’e-mail]’?” Mi sorge spontanea la domanda: “Esisteva un Walton anche quando Bell e Marconi inventavano strumenti ormai indispensabili, o quando i Lumiere giocavano con la luce e le immagini?”
Wolton, quindi, cerca di puntellare il ragionamento con dotte citazioni sul fatto che trasmissione, interazione ed espressione non sono sinonimi di comunicazione. E afferma, giustamente, che è molto più semplice riempire le scuole di PC che ragionare su una politica efficiente di educazione. Non ritenendo degne di nota espressioni che vogliamo ritenere frutto di errore redazionale quali “[Internet] mette ancora più in evidenza le differenze. E sopportare l’altro è ancora più difficile quando questi è così vicino e visibile, che non quando è lontano ed invisibile(…), bisogna dunque riflettere sulle buone distanze da mantenere”.
Passiamo all’articolo chiave per capire come mai il “Diplo” si stia così interessando ad Internet.
Il pezzo di Marc Laimé (Le journaux face à la concurrence d’Internet. Nouveaux barbares de l’information en ligne, Le Monde Diplomatique, Julliet 1999) è molto circostanziato, carico di dati e citazioni interessanti, che portano ad una triste, ma speriamo lontana, considerazione, ovvero che l’avvento di Internet abbia condannato a morte i giornali, soprattutto quelli a minor tiratura. Ed ecco i numeri.
Frederic Fillioux, responsabile delle edizioni elettroniche del parigino Liberation, sottolinea che entro due-tre anni, la maggior parte dei 7-10 milioni di francesi connessi ad Internet faranno riferimento solo ad una lista di due o tre fornitori di informazioni. Essere fuori da questa lista significa uscire dal mercato, ed ecco il fiorire di siti di giornali, gratuiti, che raggiungono al giorno anche 200.000 (Liberation) o addirittura 700.000 visitatori (Le Monde).
E il nuovo trend è quello di limitare la gratuità dell’informazione, come nel caso di Slate (voluto da Microsoft, gratuito fino a pochi mesi fa), anche sull’onda della difesa del diritto d’autore sui pezzi prodotti dai giornalisti, “affamati” dagli editori, che ritengono sacrosanto dovere di chiunque legga informazioni il doverle pagare, direttamente (su siti a pagamento) o indirettamente (come nel caso delle rassegne stampa di tarda notte che ormai siamo consapevoli di pagare con gli spot che le contornano). Ancora un dato inquietante.
Non si legge quasi mai una pagina Web parola per parola e il Centro di formazione e perfezionamento al giornalismo ricorda che leggere da Web richiede almeno il 25% di tempo in più rispetto al foglio di carta. Bisogna dunque riimmaginare il pezzo e renderlo più snello e attraente a scapito del contenuto, se lo si vuole pubblicare sul Web. Rinnovamento del mondo del giornalismo, perdita di quote di mercato, ecco i veri problemi che vuole sollevare il Diplo. Chi riesce a dar loro una risposta rassicurante?
I due articoli di Le Monde Diplomatique:
Sortir de la communication médiatiseée
http://www.monde-diplomatique.fr/1999/06/WOLTON/12095.html
Nouveaux barbares de l’information en ligne
http://www.monde-diplomatique.fr/1999/07/LAIME/12207.html