Sono in tanti ad occuparsi di accessibilità oggi.
Tra loro c’è chi ci crede e chi ci ha creduto, chi ha strumentalizzato la materia, chi sperava in un mercato fatto di ricchi premi e cotillon, chi ha fallito e chi si è costruito troni e piedistalli, chi è stato destituito e chi isolato.
Ci sono tecnici, ci sono ricercatori, filosofi, ergonomi, linguisti, giuristi e avvocati.
In questo elenco di gente che parla di accessibilità manca però qualcuno. Mancano gli utenti.
Un mondo strano, quello dell’Accessibilità. Fatto di tante parole attorno ad uno stesso argomento, dove però il nucleo centrale, troppo scottante, costituito dalle persone vere, dai disabili e dagli utenti, viene sempre più spesso solo sfiorato, accennato, abbozzato timidamente e sempre più raramente viene affrontato.
Ma dove sono gli utenti?
Quando annusano che qualcosa non va, arrivano con la spada tratta, galoppando leggi e rivendicando diritti.
A tutto ciò segue in genere una pacata risposta tecnocratica e diplomatica che non risponde alle domande che vengono poste, ma pone ulteriori domande a coloro che cercano risposte.
È il caos.
Regole e filosofie che pongono un’attenzione minuziosa nel dettaglio tecnico ma non prendono in considerazione coloro a cui esse stesse si rivolgono. Come se gli utenti non avessero la capacità di esprimere adeguatamente le proprie necessità. Come se se tutto si risolvesse in affascinanti quanto incomprensibili formule e algoritmi. Come se gli utenti fossero uno standard uguale e omogeneo.
Eppure l’accessibilità punta alla valorizzazione delle differenze: differenze nelle capacità individuali e tecnologiche, nei modi di fruizione dell’informazione online, nelle tecnologie e nei device di accesso.
Ultimamente invece sembra sempre più che queste differenze che avrebbero dovuto essere valorizzate e basate sulle reali esigenze dell’utente siano state dimenticate a favore di tecnologie sorde. Sorde perché chi le applica non si pone più il problema di chi sarà l’utente e quale sarà la sua esperienza di navigazione, ma, barricato dietro alle tecnologie ed a misteriosi algoritmi, si arroga il diritto di definire a priori risposte a domande non poste, non rispondendo invece alle esigenze che vengono realmente manifestate.
È come se l’accessibilità avesse perso di vista i propri obiettivi e le motivazioni che hanno creato questa disciplina. È come se l’accessibilità avesse perso la bussola, animata da tante buone intenzioni sembra un’ombra opaca di se stessa.
L’accessibilità si è dimenticata del proprio valore democratico e della propria valenza universale.
Ci si dimentica di tanti aspetti dell’accessibilità non strettamente legati alle tecnologie, soprattutto se questi aspetti difficilmente possono essere valutati in modo oggettivo e con strumenti tecnologici. Aspetti che possono rivelarsi essenziali per l’utente.
La comunicazione, lo scopo di un sito web, non è parametrizzabile e definibile in base a regole aprioristiche, ma un processo di adattamento e ricerca, frutto di continui e costanti confronti con i veri protagonisti dei siti stessi.
Ma proprio questa caratteristica di estrema variabilità rende questi argomenti troppo ostici e difficili da affrontare mentre risulta più gratificante abbandonarsi a sessioni di vivisezione tecnica.
Ma agli utenti la perfezione tecnica interessa nella misura in cui essa non ostacola la navigazione e la fruizione delle pagine da parte di tutte le tecnologie. Agli utenti interessano le informazioni, i contenuti, l’organizzazione dei contenuti stessi.
Ma questi aspetti non tecnici che erano (e sono) parte integrante dell’accessibilità stanno lentamente finendo relegati a “valore aggiunto”, come se il rispetto di regole tecniche bastasse a garantire progetti che soddisfano le esigenze degli utenti.
Eppure di utenti non si parla più.
Eppure l’accessibilità è nata proprio per aprire il Web a tutti, a tutte le persone, a tutte le tecnologie, ma questa recente disciplina oggi sembra essersi dimenticata la propria origine ed il proprio percorso.
Dimenticanza volontaria o temporanea?