Onestà e sincerità, in fotografia, vincono sempre
Molti fattori, come la luce, la prospettiva o il momento giusto contribuiscono alla nascita di una buona foto, ma il ritocco non fa parte di questi. Si usa Photoshop per eliminare o correggere difetti temporanei o qualche cosa di non voluto. Però non è detto che ogni foto debba necessariamente subire il ritocco.
Se il giorno delle nozze alla sposa è spuntato un brufolo, naturalmente lo elimino, perché non è una sua caratteristica e non c’è bisogno di ricordare quel piccolo inconveniente in ogni foto. Quello che invece appartiene alle persone non lo elimino. Photoshop è una grande invenzione e mi ha aiutato spesso a togliermi dai guai. Nella foga del momento non sempre riesco ad accorgermi di ogni piccolo dettaglio, perciò può sicuramente succedere che si veda un po’ di mascara colato sul viso o un po’ di forfora sul colletto della camicia. È una benedizione poter eliminare queste imperfezioni con pochi clic del mouse.
Quello che mi fa arrabbiare è la convinzione diffusa che ogni foto venga ritoccata. Molte persone addirittura lo considerano ovvio, che le loro immagini vengano ritoccate dal fotografo: Mi fai sembrare più giovane di dieci anni oppure Nelle tue foto sono sempre io, ma peso almeno dieci chili di meno. Sono frasi che mi capita di sentire spesso. A prescindere dal fatto che significa anche una notevole perdita di tempo, questo non ha niente a che fare con le persone stesse.
Il ritocco fotografico è anche un imbroglio, che nessuno ammette volentieri. O ti è capitato che qualcuno ti mostrasse una propria foto dicendo: Guarda un po’ quanto è abile quello che l’ha ritoccata?.
Se in una foto appaio allegro, simpatico e pieno di energia, questo non ha niente a che fare con il numero delle rughe che si possono vedere. Ha qualcosa a che fare con le emozioni che trasmetto. E le emozioni che trasmetto non si possono ritoccare in una foto.
Un po’ di tempo fa ho lavorato al ritratto di un capo d’azienda, per la rivista aziendale. Dall’ufficio marketing è arrivata anche la richiesta di far apparire un po’ più giovane quella persona: aveva tante rughe e le borse sotto gli occhi. Mi sono lasciato convincere e ho fatto un po’ di ritocchi, ma poi è arrivata dal capo stesso la richiesta di eliminare tutti i ritocchi. Quello non sarebbe stato lui.
Era giusto che si vedesse subito che aveva un compito difficile e che perciò gli accadeva di dormire poco. Il che giustificava le borse sotto gli occhi, e le si dovevano vedere tranquillamente. Devo dire che con quella richiesta ha acquistato ai miei occhi parecchi punti sul piano della simpatia. Il nostro viso mostra chi siamo. Nel mio modo di fotografare le persone, quello che conta sono le persone stesse. E devo cercare di rappresentarle così come sono, nel modo più onesto e sincero possibile.
Questo non vuol dire che quando serve non applichi i miei trucchi fotografici. Già si può fare molto con la luce: dura o morbida, frontale o laterale. Tutto questo incide sul modo in cui si formano le ombre e quindi anche su quanto risultano nitidi e visibili i vari tratti del viso. Ogni ruga e ogni minimo rilievo della pelle gettano un’ombra. Quanto più forti e definite appaiono queste ombre, tanto più evidenti risulteranno le rughe e le imperfezioni. Qui un fotografo deve mettere in campo il suo repertorio di trucchi.
Alla fine è anche questione di domanda e offerta. Se un fotografo apporta normalmente ritocchi alla pelle nelle sue immagini e i clienti li chiedono, si può obiettare ben poco. Ci sono persone che, per i motivi più vari, vogliono risultare migliori in foto. Vorrei comunque difendere l’idea delle foto non ritoccate: sono più classiche e sempre attuali, se le si guarda a un po’ di distanza, ci si ritrova meglio che nelle immagini ottimizzate digitalmente, che sottostanno sempre a qualche tendenza alla moda. Una buona foto non deve essere ritoccata.
Tutto il tema dei ritocchi alla pelle e simili, a parer mio, appartiene piuttosto al campo dell’industria della cosmesi, ma lì raramente si tratta delle persone, bensì di vendere un prodotto. Lì non c’è spazio per il carattere del soggetto nella foto e perciò anche le persone più belle vengono sempre sottoposte a un trattamento che le rende tutte uguali.
Quale sia la modella in una foto pubblicitaria è indifferente: che sia Tina, Gabi o Nicole, non interessa a nessuno. Quando però si tratta di fotografare sinceramente una persona, le appartengono anche tutte le sue imperfezioni: senza non sarebbe più lei. Qui si chiude il cerchio con la percezione di sé: percepiamo naturalmente i nostri difetti molto più intensamente di quanto facciano gli altri. Da fotografo devo incoraggiare le persone ad accettarsi e a piacersi. Se ci riescono, sapranno esprimere anche esteriormente questa soddisfazione interiore, e questo con Photoshop non si può simulare.
Nonostante tutto, le mie foto non sono mai senza elaborazione. Le immagini che arrivano direttamente dalla fotocamera per lo più a me sembrano troppo fiacche. Dipende anche dal formato RAW, che non è ottimizzato in alcun senso. Elaborazione per me significa dare alle foto una certa intensità di colore oppure convertirle in bianco e nero. Quasi sempre a questo si aggiungono un’ottimizzazione della dinamica, un’esaltazione della profondità, una variazione delle luci, del punto di nero e di bianco. Alla fine, arrivano anche saturazione e tonalità. Qui trovi due esempi prima e dopo, che permettono di vedere in quali ambiti normalmente applico le mie tecniche di elaborazione.
Non voglio parlare oltre delle mie elaborazioni, che potrebbero essere il tema di un libro a sé; vorrei invece raccontarti un episodio che mi ha fatto riflettere.
Mai seguire le mode fotografiche
Per i miei primi servizi fotografici di nozze, organizzavo prima un piccolo shooting di prova con gli sposi, che permetteva di conoscersi meglio e contribuiva a ridurre un po’ il nervosismo legato all’evento effettivo. Gli sposi ricevevano le foto ed entrambi ne erano soddisfatti. Poi il giorno del matrimonio arrivava da me la madre dello sposo: Le foto sono belle, ma sono tutte virate sul giallo!. Oh mio Dio! Lesa maestà. Fa vintage, sei un #%*§, via tutto quel giallo. Io ovviamente mi sono sentito profondamente offeso e avrei voluto proibire alla signora di guardare ancora le mie foto.
Qualche anno più tardi ho riguardato quello foto. Maledizione, purtroppo la signora aveva proprio ragione. Erano davvero troppo virate verso il giallo. Quello che allora mi appariva come un look vintage intrigante, adesso anche per me era diventato un viraggio al giallo. Avevo proprio passato il segno. L’elaborazione delle immagini sottostà anche a una moda e, quanto più la si spinge all’estremo, tanto maggiore è il rischio che si corre che un giorno o l’altro non se ne sopporti più la vista. Per certe immagini non importa, potrei consapevolmente andare a lavorare anche di più sulla tavolozza dei colori. Gli esperimenti sono di questo tipo. Alle immagini che devono durare nel tempo, però, giova di più il non subire troppe elaborazioni.
Questo articolo richiama contenuti da Lo scatto imperfetto.
Immagine di apertura originale dell’autore.