Circa 400 cybercafè di Teheran sono stati chiusi dalle autorità, come riportato dalla AFP che ha raccolto testimonianze sull’accaduto.
Le autorità iraniane hanno fissato un ultimatum ai cybercafè perché ottengano il più rapidamente possibile un “permesso di lavoro e una licenza di navigazione su Internet”.
Secondo il giornale riformatore Hambasteghi, si tratterebbe in pratica di un’ondata di repressione che mira a limitare l’uso di Internet in Iran.
Una misura che rischia di mettere sul lastrico 5 mila persone.
Grazie all’elezione del presidente moderato Mohammad Khatami, dopo che in Iran per un decennio si è predicato contro il “Web satanico”, si è assistito a un’esplosione di Internet, tanto che gli indirizzi di posta elettronica fanno ormai parte dei dati personali dei giovani di famiglie agiate e anche di classe media della società iraniana.
Adesso, invece, le centinaia di cybercafè, aperti negli ultimi tre anni, dovranno essere omologati dall’Unione degli utilizzatori di macchine amministrative e di computer, sorta di sindacato corporativo diretto dai conservatori.
Insomma, secondo i gerenti dei cybercafè citati dall’agenzia, i conservatori vogliono tagliare i collegamenti telefonici via Internet.
Al prezzo di una telefonata urbana, Internet permette di mettersi in comunicazione con un qualsiasi corrispondente nel mondo e dialogare attraverso il computer, cosa che riduce i costi delle comunicazioni.
I cybercafè iraniani, infatti, vengono ormai utilizzati dai cittadini per poter parlare, a prezzi molto contenuti, con i parenti residenti in Europa e soprattutto negli Stati Uniti.
Per i gestori, dunque, la colpa non è tanto della polizia, quanto delle poste e telegrafi che vogliono monopolizzare i servizi Internet.