In una delle prossime riunioni del Parlamento europeo sarà posta in discussione per l’eventuale approvazione una proposta di legge che prevede l’estensione dei meccanismi del brevetto al software e agli algoritmi. In sostanza, la cosiddetta “difesa della proprietà intellettuale”, oggi costituita dal “copyright”, sarà ulteriormente rafforzata ed estesa.
Ritengo che la proposta sia contraria agli interessi di chi intende difendere, ossia di chi sviluppa nuovi metodi e nuovi programmi, e debba essere respinta per molte considerazioni. Ricordo le più importanti.
In primo luogo, la legge è tecnicamente insensata. Come riconoscere, infatti, il contributo importante da quello meno significativo o addirittura irrilevante? Come distinguere il metodo che è completamente nuovo da quello che costituisce una piccola variante di un metodo già noto? Come separare le gocce di novità in un immenso mare di conoscenza cui hanno portato acqua molte centinaia di migliaia di studiosi appartenenti a tutti i paesi del mondo?
In secondo luogo, quella legge sarebbe profondamente iniqua. Infatti, soltanto le aziende molto ricche potranno affrontare le spese per il deposito dei brevetti e per le inevitabili e interminabili battaglie legali che seguiranno. Queste aziende copriranno con brevetti non soltanto le idee dei loro schiavi dorati, dai collaboratori esterni pagati a fattura ai dipendenti con “stock option”, ma anche i prodotti più o meno camuffati delle università e degli istituti di ricerca di tutto il mondo.
In terzo luogo, quella legge è contraria agli interessi dei Paesi della Comunità Europea e in modo particolare del nostro Paese che registra ritardi impressionanti nel comparto del software e negli altri settori industriali interessati alla legge. Infatti, la realtà europea e italiana in quei settori è costituita prevalentemente da piccole unità, che, come accennato, non potranno affrontare le spese per il deposito e la successiva difesa dei brevetti. Inoltre, le multinazionali del software costituiranno subito, con il volume dei loro brevetti, una barriera insormontabile all’ingresso dei contributi industriali europei.
Infine, quella legge, proprio perché tecnicamente insensata, indurrebbe costi enormi nella produzione del software, sì da divenire un ostacolo allo sviluppo del settore. La collaborazione e non la competizione, e meno che mai il profitto, sono stati, ad esempio, alla base della crescita di Internet, uno dei fenomeni più importanti della società tecnologica moderna.
Anche Internet diverrebbe proprietà di pochi se venisse approvata una legge come quella. I meccanismi spontanei della produzione e del mercato favoriscono i più ricchi e potenti. Occorre evitare l’approvazione di leggi che esaltano quei meccanismi. Occorre evitare di regalare a pochi il frutto del lavoro di molti.
Sul sito http://no-patents.prosa.it è possibile firmare contro la proposta di legge per l’estensione dei brevetti al software e agli algoritmi.