Analizzando le attività dei blogger e degli utenti più attivi della Rete possiamo affermare che la cultura della condivisione delle informazioni sta cambiando profondamente. Non vuol dire che lo strumento blog, a cui auguro di continuare la sua felice esistenza ignorando quanti lo danno in agonia, sia morto. Tutt’altro. Ma è agli occhi di tutti come, accanto alla tradizionale presenza su un blog, si stiano affacciando decine di nuove attività: dalla pubblicazione di micro-pensieri su più network alla condivisione di ogni oggetto sociale della nostra vita, siano essi viaggi, acquisti o esperienze in genere.
Da un solo grosso avamposto a tanti piccoli frammenti, questa trasformazione è potenzialmente capace di avvicinare gli interlocutori tra loro come mai successo in precedenza. La rinnovata disponibilità di informazioni, di cui molte personali, permette di conoscere meglio aspetti ed elementi meno evidenti delle altre persone. Si tratta di un’attività impegnativa e dispendiosa, che in molti casi, comporta una scelta precisa: ridurre il numero di risorse scegliendo quelle che meritano la nostra attenzione. Meno persone e più attività sembrano suggerire una piccola rivoluzione per il lettore, che passa dal conoscere poco di molti a molto di pochi.
Le nuove forme di presenza e condivisione in Rete hanno spinto la rivista francese Le Tigre a realizzare un esperimento provocatorio ma interessante, il quale avrebbe risultato analogo nel nostro paese. Aggregando le informazioni di tre soli servizi di social network è stata ricostruita la vita di Marc L****, perfetto sconosciuto salito alla ribalta grazie ai dati che aveva più o meno coscientemente pubblicato online. Dal compleanno alle passate relazioni sentimentali non è stato difficile raccogliere informazioni, anche riservate, che il povero Marc non ricordava di aver condiviso. La prova di come molti utenti siano vulnerabili e di quanto sia facile riunire i vari pezzi del puzzle.
Ma se l’inchiesta de Le Tigre evidenzia la scarsa consapevolezza di molte persone sulle dinamiche di condivisione delle informazioni personali, esistono altri modi di utilizzare i servizi web per far luce sulla propria vita. Accanto ai maniaci della condivisione, esiste un’altra tipologia di utenti, più discreta, spesso del tutto invisibile. I self-tracker sono le persone che decidono di registrare i propri dati online in maniera privata. Non si tratta solo di pensieri, musica, foto, video che li coinvolgono, ma di dati elementari che riguardano il corpo e le abitudini quotidiane, come le ore di sonno, l’esercizio fisico, i pasti, le calorie ingerite, l’attività sessuale eccetera.
La natura della pratica è in parte personale e in parte sperimentale. La registrazione dei singoli dati, che apparentemente può sembrare senza significato, è solo la prima fase, a cui segue l’aggregazione e l’elaborazione. Attraverso lo studio dei report prodotti è possibile ricostruire la propria vita nei piccoli particolari, quelli a cui spesso non si presta attenzione. E spesso, incrociando i dati, scoprire nuovi aspetti interessanti e imprevisti. Come un mal di testa legato a un’alimentazione sbagliata o uno stato d’animo ricorrente dopo una certa attività.
Qualcuno potrebbe obiettare che è possibile appuntare queste cose in un tradizionale blog, magari in forma privata, per evitare di esporsi troppo. Tuttavia il blogger è più propenso a riportare la percezione dello stato d’animo o la sensazione della durata degli esercizi quotidiani, piuttosto che non il dato nudo e crudo. Senza contare che l’elaborazione diventerebbe difficoltosa. Il messaggio è chiaro: i numeri non mentono mai e dai dati è possibile conoscere meglio se stessi.
Stanno così nascendo nuovi servizi solo apparentemente simili ai siti di microblogging che conosciamo. BedPost, ad esempio, è l’agenda online per registrare e votare le proprie attività sessuali. Si annotano i più piccoli dettagli, dall’ora del giorno al gradimento dei rapporti, e il servizio crea in automatico, tra le altre cose, un grafico di soddisfazione della propria vita sessuale. CureTogether è una piattaforma creata per raccogliere più di 40 tipi di informazioni su abitudini e salute; dopo aver creato il profilo del proprio stato di salute è possibile confrontarsi con gli altri utenti per discutere sulle scelte relative al proprio benessere.
Una storia curiosa è quella di Mon.thly.info. Heather Rivers, web designer e responsabile del sito voleva creare un semplice promemoria per avvisare ogni donna iscritta sui giorni del ciclo, come aiuto per organizzarsi. Nel giro di breve tempo riceve un numero inaspettato di richieste di implementazioni per il servizio che aveva realizzato: chi voleva un’area per appuntare il proprio stato d’animo, chi necessitava di uno spazio per i dettagli delle giornate adiacenti al ciclo. In poco tempo l’autrice capisce che per soddisfare gli utenti avrebbe dovuto trasformare il progetto iniziale in qualcosa di differente, dove l’alert non era più motivo di interesse.
Il newyorkese Nicholas Felton dal 2005 è solito pubblicare annualmente il Feltron Report, un documento autobiografico nel quale ha raccolto le attività quotidiane della sua vita. E forte della sua esperienza ha lanciato il sito, attualmente in beta a invito, Daytum, servizio per permettere alle altre persone di fare altrettanto. A San Francisco invece appassionati e studiosi si sono organizzati nel progetto QuantifiedSelf, un gruppo di ricerca che si incontra fisicamente per discutere quali sono i migliori strumenti per monitorare le proprie attività.
Il punto è se lo sforzo e la costanza che richiedono queste attività sono ricompensati con risultati utili e significativi. I Self tracker hanno effettivamente migliorato la propria vita attraverso la collezione e l’analisi di questi dati? O si tratta solo di un hooby per i maniaci dei dati? La posizione di Kevin Kelly, membro e portavoce del gruppo QuantifiedSelf, è netta: «Finché non si misura una cosa, non può essere migliorata».