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La tecnologia rivoluziona anche lo scambio di bigliettini tra studenti

23 Dicembre 2004

La tecnologia rivoluziona anche lo scambio di bigliettini tra studenti

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Nell'era digitale non è più ammissibile che i giovani mantengano la vecchia abitudine di scambiarsi bigliettini durante corsi e conferenze, così arrivano mezzi ben più moderni: dagli Sms alle e-mail

La democratizzazione della tecnologia, che permette l’accesso wireless a Internet, aggiunta al proliferare degli hot spot nelle aree universitarie, nelle aziende, nei caffè e in molti altri posti pubblici, ha reso possibile la comunicazione in tempo reale. Un fenomeno che sta rivoluzionando il nostro modo di comunicare, ma che ha anche degli effetti collaterali. Ad esempio, sta facendo perdere agli insegnanti – soprattutto nelle università – il controllo sulla platea degli studenti.

Un fenomeno talmente vasto da interessare i ricercatori, che hanno constatato come non si possa più parlare di uno spazio ridotto come la classe o l’ufficio: le discussioni tramite i sistemi di messaggistica istantanea tra dipendenti situati in vari punti dell’azienda – durante una riunione con la direzione ad esempio – o la comunicazione in tempo reale verso l’esterno in occasione di negoziati finanziari utilizzando strumenti elettronici come il Blackberry, sono ormai all’ordine del giorno.

“E non sono più soltanto i giovani che vi fanno ricorso – commenta Danah Boyd, dell’Università californiana di Berkeley -. Queste conversazioni “clandestine” sono considerate potenzialmente eversive, e alcune aziende hanno persino deciso di proibire l’utilizzo della messaggistica istantanea, mentre alcune scuole bandiscono i telefoni cellulari dalle classi. In genere – aggiunge – si pensa che si tratti di una pratica da cattivi studenti, distratti e svogliati, ma l’allievo, in realtà, è occupato in una meta-conversazione che potrebbe dare vita a nuove idee e a informazioni anche di un certo valore”.

Non tutti, infatti, intendono combattere il fenomeno. Alcune università prevedono già di estendere il ricorso a questo tipo di forme di comunicazione. William Griswold, ad esempio, professore d’informatica all’Università californiana di San Diego, ha adottato un approccio tollerante nei confronti delle discussioni elettroniche che sapeva si svolgevano in classe. Griswold aveva notato che, quando la presenza ai suoi corsi aumentava di numero, la partecipazione, l’attenzione degli studenti, diminuiva, in parte a causa del timore di alcuni di loro di intervenire in pubblico di fronte a un grande numero di persone.

“Ho realizzato che se gli studenti non chiedevano spiegazioni e approfondimenti – ha spiegato Griswold -, il livello d’insegnamento si riduceva notevolmente, perdendo di efficacia”. Così, nel 2001, grazie a una donazione del produttore informatico Hewlett-Packard, il professore californiano ha sviluppato un software che permette agli studenti di fare domande in tempo reale, in modo anonimo, grazie al Pc portatile o al PDA (Personal Digital Assistant), i computer palmari, molto diffusi negli Stati Uniti.

“Proponendo questo nuovo canale di comunicazione permanente – aggiunge Griswold – il dibattito si è ravvivato e ampliato. Alcune delle questioni sollevate risultano molto argute”.

Altrove, l’uso di tecnologie di comunicazione assume forme diverse. Alcune università, ad esempio, forniscono agli studenti telecomandi che permettono loro di rispondere a questionari a scelta multipla, consentendo ai docenti di sapere se gli allievi hanno compreso il corso.

Ma, come sempre accade in questi casi, accanto ai sostenitori della tecnologia, si trovano i detrattori, quelli che affermano che nelle aule non devono trovare spazio queste innovazioni, ritenute, non solo poco utili, ma altamente diseducative. E come sempre, sarà la storia a dire quale delle due fazioni aveva ragione o torto. Una cosa è certa: la paura dell’innovazione fine a se stessa, il rifiuto del cambiamento tout court è sempre stata una barricata destinata, prima o poi, a cedere, comunque.

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