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La serendipity guidata di Stumble Upon

19 Dicembre 2011

La serendipity guidata di Stumble Upon

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Esiste dagli albori del web sociale, ma solo ora, grazie a una riorganizzazione del sito, raggiunge la maturità e i mercati internazionali

Quanti siti web ci sono in Internet? Secondo le ultime stime della società Netcraft, un po’ più di mezzo miliardo (555,482,744). Quanti ne visita ogni giorno l’utente medio? È difficile avere dati precisi al riguardo, ma è probabile che – power user a parte – non siano molti. Quello del proprio quotidiano, l’internet banking di tanto in tanto, qualche link suggerito dagli amici attraverso Facebook. Una volta consolidate le proprie abitudini di navigazione è facile che ci si attenga a percorsi più o meno fissi, con qualche deviazione ogni tanto. Certo, c’è Google. Ma gli algoritmi del motore di ricerca tendono a mettere in evidenza i siti considerati più autorevoli, a scapito di quelli di nicchia e pochi sono coloro che si spingono oltre la seconda pagina di risultati. E, soprattutto, usare Google presuppone di sapere a priori quello che si sta cercando. E se invece si volesse provare a gettare la lenza nel mare magnum del web e vedere un po’ quello che abbocca? Per quello c’è Stumble Upon.

Imbattersi casualmente

Probabilmente molti lo avranno sentito nominare, visto che, fra alti e bassi, il sito è online dal 2001. Pochi però lo conoscono bene: per chi è a digiuno, ecco un breve riassunto. La particolarità di Stumble Upon, fondato da tre studenti universitari canadesi, è quella di consentire agli utenti, una volta che questi hanno indicato uno o più interessi generici (cinema, letteratura, tecnologia, ecc.) di “inciampare” o “imbattersi” (stumble) in una serie di siti potenzialmente interessanti. Chiunque può aggiungere un sito al database di Stumble Upon: saranno poi gli altri utenti, coi loro “like” e “dislike” a fargli guadagnare maggiore visibilità, facendo sì che sia più facile inciampare in esso. Un meccanismo guidato di serendipity che fa sì che, come dice il Ceo Garret Camp, sia «facile scoprire nuove pagine web, anche quelle che non si è coscienti di stare cercando».

È un modo, insomma, per allargare i propri orizzonti e recuperare il senso di scoperta che caratterizzava le origini del Web. L’idea, in sé, è brillante, e in lenta ma costante maniera il sito è riuscito a costruirsi negli anni un suo seguito fra gli internauti nord americani, tanto da indurre nel 2007 il sito d’aste eBay ad acquisire il servizio per 75 milioni di dollari. Dopo solo due anni però, Camp e uno dei suoi colleghi della prima ora, Geoff Smith, con l’aiuto di alcuni investitori, hanno ripreso il controllo della società. E il progetto da allora ha cominciato a decollare, superando i 20 milioni di utenti e diventando per alcuni mesi la maggior fonte di traffico dei siti Usa, meglio perfino di Facebook (dati Stat Counter). Infine è riuscito  finalmente a individuare un proprio modello di business basato sulla “paid discovery”.

Scoperte sponsorizzate

Funziona così: fra i siti che vengono “scoperti” ce ne sono alcuni sponsorizzati, ossia che vengono presentati non sulla base delle indicazioni della community, ma perché qualcuno ha pagato. A seconda dei piani tariffari gli inserzionisiti possono scegliere con maggiore o minore precisione il target demografico a cui rivolgersi; in ogni caso, i siti sponsorizzati vengono segnalati chiaramente come tali, e sono anch’essi soggetti a votazione da parte degli iscritti. La sfida, per i manager di Stumble Upon, è quella di riuscire a guadagnare sulla paid discovery senza inficiare il livello qualitativo del sito e senza rendere farraginosa e frustrante l’esperienza di navigazione degli utenti: un compromesso difficile e solo il tempo dirà se la scommessa può considerarsi vinta. Nel frattempo il sito ha subito un restyling volto a renderlo maggiormente compatibile con i dispositivi mobili e sono state lanciate anche delle apposite applicazioni per iPhone, iPad e cellulari con sistema operativo Android. Il prossimo passo, secondo Camp è l’espansione sui mercati internazionali. A quando una versione localizzata in italiano?

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