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La rete per ricostruire il patto tra le generazioni

01 Agosto 2011

La rete per ricostruire il patto tra le generazioni

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Il dialogo interrotto tra giovani e adulti e l'impellente redistribuzione di responsabilità e opportunità a favore delle nuove generazioni: sono i temi proposti da un saggio di Francesco Stoppa, a cui abbiamo chiesto quale potrebbe essere il ruolo di internet

Lo psicologo pordenonese Francesco Stoppa ha da poco pubblicato il saggio La restituzione. Perché si è rotto il patto tra le generazioni: nato come riflessione su alcune esperienze di dialogo intergenerazionale, il volume interroga alcune ragioni di un fenomeno sociale la cui urgenza si è imposta all’attenzione (e non solo alla retorica) mediatica negli ultimi due mesi. Nel lavoro di Stoppa sono presenti diversi spunti in merito alla rete, ed è proprio su questi che lo abbiamo sentito.

Nel panorama delle «emozioni a bassa intensità» che descrivi nel tuo libro, quale spazio ha la rete come esperienza?

Grazie a internet si arriva con prontezza a fare proprie nozioni di ogni genere: certo ci sono delle controindicazioni, lo sappiamo tutti, tuttavia i giovani d’oggi hanno la possibilità di entrare subito nel vivo delle materie senza dover sempre o necessariamente tenere conto di ciò che a noi veniva imposto preliminarmente, e cioè le regole e le strutture di base, la sintassi delle metodologie con cui orientarsi nell’apprendimento. Internet li porta a tuffarsi nel cuore dei problemi, la gamma dei quali tende a diventare pressoché universale: grazie alla rete ci si può occupare un po’ di tutto e ognuno, se lo vuole, può saperne di più delle cose del mondo.

Ritieni che questo sapere depositato nella memoria dei loro computer potrebbe alienare i giovani e precludere loro la possibilità di esperienze dirette, dal vivo?

Probabilmente no, o perlomeno non è per nulla scontato che tutto debba andare come tendiamo a immaginare noi adulti che nutriamo una naturale e generazionale idiosincrasia per un sistema che in fondo non capiamo. Non sto mitizzando internet, che del resto continuerò nevroticamente a considerare con un certo sospetto. Mi dico solo che quello che vediamo noi adulti è sicuramente viziato da pregiudizi generazionali. E quella degli ex sessantottini è, insospettabilmente, una generazione piena di pregiudizi!

Nella tua esperienza di osservazione, esistono degli specifici generazionali nella frequentazione della Rete?

Le mie osservazioni includono sia la mia esperienza di tipo professionale che quella, invece, di padre. Come terapeuta mi occupo di persone giovani ma già adulte, e solo in parte di adolescenti. Mi pare che molti giovani adulti d’oggi cerchino in rete occasioni di incontro, ma soprattutto sul piano di un possibile scambio sessuale o per trovare quel partner dell’altro sesso che non riescono o non vogliono incontrare nella cerchia delle proprie conoscenze, nella loro vita reale, quotidiana. È un fenomeno curioso e non credo dipenda solo da timidezza o da scarsità di occasioni concrete: forse chiama in causa una misteriosa natura “galeotta” della rete.

Se fosse vero, potremo arrivare a ipotizzare che internet assuma qui, inconsciamente, il valore di un attivatore di desiderio. Un desiderio – come oggi spesso si verifica (siamo nell’epoca cosidetta delle passioni tristi) – altrimenti latitante: in tal caso la rete diventa né più né meno che un oggetto-feticcio. Per gli adolescenti d’oggi invece, e tale è mia figlia, la rete è altro. Perde il suo connotato feticistico, di strumento di godimento individuale, e si fa occasione di contatto ecumenico. Accende vie istantanee ma efficacissime di comunicazione, scambio, conoscenza, che hanno di mira non tanto la conquista di un qualche bene personale, ma il gusto della partecipazione collettiva alle cose del mondo.

In quali comportamenti ti pare si traduca già oggi questa partecipazione collettiva?

Nel ritorno dell’interesse per la politica, per le questioni sociali, per la salute dell’ambiente e delle città, da parte di tanti giovani riuniti innanzitutto sulla rete. Persone che da lì si organizzano per ritornare nel reale con impegno e dedizione. Tutt’altro che mezzo che induce la passivizzazione dei giovani, la rete è divenuta occasione di mobilitazione. Vorrei dirlo servendomi di una metafora e cioè che ogni rete degna di questo nome deve contemplare, oltre ai nodi, la presenza di vuoti. Fuor di metafora, c’era il rischio che la rete fosse riassorbita nel funzionamento totalizzante delle logiche del mercato che impongono al singolo un pieno di godimento alienante, e invece la rete – usata con intelligenza – conserva ciò che la fa tale, utile non tanto all’individuo quanto al consorzio umano, alla civiltà, e cioè i suoi buchi. Questo significa una cosa molto importante: che, se solo lo vogliamo, ci si può muovere dentro, che la rete ci permette di essere creativi e di esercitare le nostre responsabilità civili.

Il mondo adulto insiste molto (lo fanno anche le tracce d’esame di Stato) sulla pericolosità dell’alienazione dei giovani che stanno in rete. È un pericolo reale? È una forma di falsa coscienza?

Tutti i dispositivi simbolici che l’uomo progetta e usa nel corso del suo sviluppo contengono in sé delle insidie. La parola stessa, si sa, può avere un potere vivificante, ma anche uno distruttivo. È la manutenzione che ne facciamo che decide della bontà delle nostre strumentazioni. “Manutenzione” significa in primo luogo riferimento a un’etica della nostra posizione nel mondo, delle forme di potere con cui gestiamo il reale (gli altri esseri viventi, le nostre istituzioni, la natura). Allora, conosciamo inquietanti fenomeni di alienazione a internet da parte di non pochi giovani, ma cominciamo – perfino noi adulti sempre un po’ prevenuti sulle forme comunicative dei nostri figli – a renderci conto che la rete è un formidabile contenitore di pensieri in tempi rapidi e un propulsore di azioni collettive che, anziché produrre modalità di passivizzazione degli utenti, portano a forme di responsabilizzazione.

Visto che i recentissimi fatti internazionali e nazionali ci mostrano appunto come la rete, con la sua istantanea e amplissima cassa di risonanza, possa rappresentare per i giovani un fattore di risveglio alla politica, allora – domanda impietosamente autolesiva – perché tutti i nostri moniti, inviti, sollecitazioni a un maggior interessamento e impegno sociale, rivolti ai nostri figli o allievi, sono andati pressoché a vuoto? Perché questo anonimo megafono massmediatico ha avuto, invece, tanta presa e risonanza? Sarebbe interessante che la mia generazione, con un po’ di coraggio, provasse a rispondere a questa domanda!

Tra i modi con i quali può avvenire la “restituzione” tra le generazioni, la rete può avere un ruolo di qualche tipo?

Sì, lo stesso rinato impegno politico di molti giovani è una restituzione, nel senso che rilancia in fondo la vitalità e l’interesse sociale che fu dei padri “contestatori”, ma non come una vuota replica di quello. Ha fonti e mezzi, ma anche caratteristiche diverse: ad esempio, è una forma di mobilitazione in un certo senso magari più ingenua – non scomoda ideologie di alcun tipo (e forse in questo senso è però anche meno pericolosa) – ma meno personalistica. C’è una dose in meno di individualismo e narcisismo; e questo, particolare interessante, spiega perché l’espressività dei giovani abbia, salvo casi patologici che vengono sempre troppo enfatizzati, dei connotati meno rabbiosi e quindi segnati da un minor senso di impotenza.

I giovani non hanno più bisogno di pensarsi gli inventori di un nuovo mondo, di una nuova lingua, di inedite forme d’espressione artistica. A loro basta usare quelle di sempre, ma magari con uno spirito diverso e applicandovi dei rimaneggiamenti. Non ponendosi contro qualcuno, ad esempio, ma a favore del ripristino di un minimo di senso umano delle cose, della politica, del rapporto con la natura, delle relazioni intersoggettive, del significato civile del lavoro, e via dicendo. I giovani non hanno più bisogno di mettere la propria firma su quanto producono, agiscono in gruppo ma senza necessariamente fare massa. Infatti, non anelano a un capo: hanno già visto abbastanza, lo constatano tutti i giorni, nei posti di lavoro, a scuola, sentendo parlare i politici, cosa sia la liquefazione dei padri e delle classi dirigenti! Noi adulti non sappiamo dove porterà tutto questo. Ma, diciamocelo, perché dovremmo per forza saperlo in anticipo? Non fa parte anche questo di quella tendenza, su cui mi soffermo nel mio libro, a voler controllare sempre tutto dei nostri figli, dei più giovani, spaventati come siamo dall’orrore di dover finalmente cedere loro il testimone?

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