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La rete dei migranti che avvicina i mondi

11 Gennaio 2010

La rete dei migranti che avvicina i mondi

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Emigrare oggi non significa più necessariamente perdere i contatti col proprio paese e con la propria gente. E grazie a internet si formano nuovi punti di riferimento

«Ma io ti lo detto e ti lo ripeto che se qualche volta non scrivo a tempo none colpa mia e per la distanza che mi sipara di Città Bolivar e di costo non è come El Callao che parte un corriere ogni quindici giorni. Dite a tuvo fratello  (…)  che vede la carta geografica di Venezuela e che ti dice dove si trova Guasdalito». Così scriveva il mio bisnonno a sua moglie nel 1894. Lui, immigrato in Venezuela, e lei, rimasta in un paesino della Calabria settentrionale, affidavano alle lettere le loro storie, le loro paure, i ricordi. Lettere che arrivavano, mai partivano, si perdevano e che la storiografia ha a lungo studiato per capire comportamenti, cultura e valori dei nostri migranti.

Tutto più semplice, invece, per Maria, argentina trentaduenne, che vive a Parma da quattro anni con il marito e un figlio di dodici mesi e che condivide con chi è rimasto in Argentina solitudini, paure e conquiste attraverso internet. «Grazie a Skype sento i miei familiari tutti i giorni», racconta, «con loro ci scambiamo fotografie, chattiamo e ci guardiamo attraverso la webcam, così loro possono vedere il mio bambino crescere e io mi rendo conto di come se la passano. E ci sentiamo tutti un po’ meno soli».

In contatto

La comunicazione fra migranti e familiari rimasti al paese di origine passa oggi in gran parte attraverso internet e social media, e lo si può dedurre facilmente osservando la clientela di un qualsiasi internet point. «Internet è diventato incredibilmente importante per gli immigrati», dice Ethan Zuckerman, co-fondatore di Global Voices Online e ricercatore del Berkman Center di Harvard. «Molto più che in passato permette di rimanere in contatto non solo con la propria famiglia, ma anche con la propria cultura di origine. Questo può far vivere nel paese di destinazione più facilmente, almeno psicologicamente, ma potrebbe anche rendere più difficile il percorso di integrazione».

Che questo sia vero oppure no è ancora presto per dirlo (non ci sono a oggi studi che approfondiscono in questo senso il tema), però certo la comunicazione digitale modifica il rapporto tra chi parte e chi rimane molto più di quanto abbia fatto in passato la comunicazione scritta. Se un tempo, infatti, i contatti fra il paese di origine e di destinazione erano sporadici e affidati a lettere e a brevi ritorni, oggi grazie a internet sono intensi, continuativi e di conseguenza anche più diretti e veritieri. Più difficile mentire e affidarsi al tempo per cancellare solitudine e sofferenze. «Domenica è un giorno speciale perchè non lavoriamo e possiamo sentire le nostre famiglie», afferma Linver, operaio ventunenne boliviano, a Vigevano da due anni. «Così la mattina sono  sempre qui, all’internet point, sto un’oretta, mentre durante la settimana ci passo solo 10 minuti, giusto il tempo di guardare la posta e leggere un po’ i giornali del mio paese. Alle volte scarico da YouTube i video dei miei amici. Mi chiedono sempre dell’Italia e delle possibilità di lavoro e gli rispondo sempre la verità: su internet l’Italia è bella, ma lo è per gli italiani, per noi che veniamo qui a lavorare, è dura». Lo stesso raccontano i marocchini ai propri fratelli a san Nicola Varco, in provincia di Salerno. «Anselmo Botte nel suo Mannaggia la miseria scrive che i marocchini che lavorano i campi di frutta nella Piana del Sele sconsigliano ai propri fratelli minori di partire raccontando quanto la vita in Italia sia faticosa», racconta Enrico Pugliese, sociologo e accademico.

Immaginario

Un tempo chi partiva per destinazioni molto lontane fermava il suo immaginario al momento dell’addio. Difficile era infatti soltanto pensare che qualcosa potesse cambiare in un paese in cui per secoli nulla si era modificato. Oggi invece l’immigrato attraverso internet e social media segue da vicino quanto accade nella sua comunità d’origine e anzi in alcuni casi interviene nel cambiamento. «All’inizio utilizzavo internet solo per conoscere la normativa che interessava me e i miei connazionali», spiega Samuel Kangbo, sierreleonese che vive a Roma dal 1988, «oggi, invece, oltre che per tenermi informato, uso la rete per discutere con altri africani, con i quali scambio opinioni, parlo della fuga di cervelli, della corruzione politica e così via». Il miglioramento della condizione economica, infatti, porta quasi sempre con sé anche un uso più intenso della rete che si trasforma da mero strumento di comunicazione a luogo di discussione, di frequentazione e di acquisto.

Ogni comunità trova nel web i propri punti di riferimento. Ci sono shopping mall attraverso i quali è possibile acquistare e mandare direttamente in patria i più svariati regali: si va dalle torte di compleanno al mazzo di fiori, fino a sostegni concreti come minuti aerei, rette scolastiche, buoni spesa, visite mediche. Ne sono un esempio Happysend per i camerunesi, iCare per gli ugandesi, MamaMikes per i kenyani, Indiaplaza per gli indiani, Expressregalo per i filippini. Ci sono, poi, i siti dove è possibile trovare l’anima gemella scovandola in database che raccolgono connazionali sparsi in tutto il mondo, come Bharatmatrimony.com per gli indiani, Zawgaty.com per gli arabi, filipinaheart.com per i filippini, afrointroductions.com per gli africani. Ci sono infine i portali generalisti, luoghi di informazione dove è possibile ascoltare la radio, guardare video e discutere attraverso chat, forum, blog (ne sono un esempio despatriados.com, NRIOL.com, Seneweb.com, Ghanaweb.com, mashada.com).

Discussione

Proprio da questi luoghi parte la discussione, in alcuni casi più malinconica, come quella degli argentini, che parlano di solitudini e difficoltà pur scambiandosi, anche, ricette e consigli, in altri più matura, come quella degli africani che riflettono sul futuro del loro continente e su come abbattere i luoghi comuni. Una discussione che rimbalza tra i molti blog curati dai componenti della diaspora (soprattutto afro-americani) e quelli dell’ intellighenzia africana, che fa della blogosfera africana una delle più vivaci e interessanti del web, dando origine anche a promettenti progetti. Kenyans for Change (K4C), per esempio, è un movimento nato su Facebook con l’obiettivo di promuovere iniziative per un Kenya più democratico e moderno, e oggi raccoglie più di 10000 kenioti sparsi in tutto il mondo; Africa Rural Connect, è invece una piattaforma online attraverso la quale si propongono soluzioni per favorire lo sviluppo agricolo del continente; Ushahidi infine è una piattaforma di raccolta di informazioni dal  basso.

Molte di queste iniziative nascono con il contributo delle seconde generazioni che naturalmente si muovono in internet con maggiore disinvoltura rispetto ai propri genitori. Anzi, se un tempo toccava a loro insegnare a leggere e a scrivere a mamma e papà, oggi spetta loro il compito di aiutarli a familiarizzare con le nuove tecnologie. «Quando qualche parente si collega al messanger chiamo subito mia madre», racconta Hebe, studentessa e mamma milanese-egiziana, «lei non sa usare internet, a mala pena riesce a far partire il videoregistratore!». Hebe usa il web per seguire gli studi, per rimanere in contatto con le amiche italiane ed egiziane, conosciute durante le vacanze estive, e anche per confrontarsi con altri figli di immigrati, magari su portali come Arabfriedz, un social network che raccoglie giovani arabi sparsi nel mondo: «Noi della seconda generazione», racconta, «siamo sempre sulla linea di confine. Non siamo nè di qua nè di là, e questo ci porta a cercare ragazzi simili a noi. Un italiano o un egiziano può capire solo una parte di noi, quella più vicina alla propria cultura, mentre l’arabo-inglese o l’arabo-americano ha probabilmente vissuto le nostre stesse contraddizioni e questo fa sì che, a volte, ci sentiamo più vicini a loro che ai nostri connazionali».

A questi ragazzi spetta e spetterà, dunque, l’arduo compito di contribuire ad avvicinare i diversi mondi. Se ai tempi del mio bisnonno si pensava che la grande emigrazione avrebbe portato soldi e benessere al sud Italia, al tempo di Facebook è lecito sperare che l’immigrazione possa aiutare a contribuire a superare il digital divide fra il nord e il sud del mondo. Per il mio bisnonno non ha funzionato, chissà che questa volta vada meglio.

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