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La pubblicità diventerà un “trailer” dell’online?

25 Novembre 2011

La pubblicità diventerà un “trailer” dell’online?

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Cambiano i target e l’uso dei media. Anche la comunicazione evolve ed è sempre più “drive to web”

Non voglio fare generalizzazioni, anche perché non se ne possono fare, ma solo un cieco non si è accorto che è in corso una profonda riflessione sul rapporto tra advertising classico e internet. Non si possono trarre conclusioni massimalistiche tipo «l’advertising è morto» dato che, tra l’altro, la maggioranza gli italiani non è ancora su Internet e che le audience televisive, numeri alla mano, sono in crescita. Certo, in modi e con distribuzioni sulle reti ben diverse da quelle che erano ai tempi d’oro della pubblicitaria Milano da bere. Facciamo una riflessione, dal lato della comunicazione.

Marche e prodotti

Buona parte della comunicazione pubblicitaria delle aziende racconta storie di prodotti oppure storie di marca. Poi ci sono altre storielle che si raccontano – ad esempio che un certo prodotto è in promozione. Ma lì è più semplice: vedo in tv o sul giornale che i prodotti della Acme sono in offerta al 50% di sconto, vado e compro, easy. Ora, sempre più, quando si lavora con le aziende e nelle agenzia, il mantra ricorrente è il “drive to web”. Il che significa fare della comunicazioni il cui compito primario sia di portare le gente ad approfondire il messaggio online. La cosa ha molto senso. I limiti di tempo spazio e costi imposti dalla pubblicità tradizionale pongono limitazioni altrettanto severe alle pubblicità e alle narrazioni che si possono fare.

Chi ha lavorato in pubblicità sicuramente ha più di un caso in testa, in cui i creativi hanno tirato fuori una bellissima storia, emotiva e coinvolgente, brand building e memorabile… ma che funzionava solo tagliata in un filmato di un minuto e mezzo, quando il limite televisivo è ormai invalicabilmente di 30 secondi, meglio 20. Idealmente 5. E quella storia, a trenta secondi sapeva di poco. Guardate l’esempio di Heineken “The Entrance”. Confrontate il 30” andato in TV con la versione integrale andata su YouTube e che in tv non ci sarebbe mai potuta andare.

Director’s cut

L’arrivo di Internet (almeno quando è stato capito e metabolizzato) ha dato ai comunicatori la possibilità di avere un luogo dove mettere in onda la versione lunga, quella giusta, il director’s cut. Bastava solo trovare un modo di farlo sapere ai teleutenti. E di qui, il drive to web, il drive to youtube. E la tv come trailer della versione bella. Ma la comunicazione non è solo filmati emozionanti, è informazione, è engagement, è tante altre cose che nella caja tonta si trovano troppo strette. Mentre la non scatola ha uno spazio infinito per parlare, per discutere e dialogare, per fare informazione, fare servizio, permettere l’acquisto.

Quello che una volta era il mal digerito internet, quello che “e poi mettiamo nell’annuncio anche l’indirizzo del sito”, si è trasformato: l’online che era accessorio in molti casi si è trasformato nell’obiettivo, nella spiaggia su cui far sbarcare le truppe dei potenziali clienti. Sia esso un sito o minisito, un blog o un attività social. Di qui una rivoluzione copernicana: se per anni abbiamo fatto attività online che facevano letteralmente schifo, in quanto impossibili “adattamenti” al web di campagne televisive intraducibili, ora come minimo andiamo verso concetti media neutral, media agnostic o chiamateli come volete; concetti che partono da un idea, non da un mezzo, e che per essere approvati devono anzi dimostrare di essere capaci di funzionare su tutti i mezzi, in primis l’online.

E se mi misurano?

A complicare la faccenda, alza rabbiosamente la testa la vecchia bestia, l’arcinemico dei pubblicitari: la misurazione dei risultati. Con la notevole eccezione dei comunicatori del direct marketing, pronti persino a farsi pagare a success fee (mi paghi sulla base dei risultati concreti che ti porto), il pubblicitario puro si è per anni trincerato dietro il fatto che tali e tanti erano i fattori che influenzavano il successo del prodotto… che anche la pubblicità migliore del mondo ( di certo la sua) poteva floppare a causa di errori marchiani fatti dal cliente su altri fronti. Di qui una sorta di deresponsabilizzazione, visto anche che l’efficacia della pubblicità sulle vendite è sempre stata molto mal misurabile. E il parametro del successo erano i premi vinti, assegnati a creativi da altri creativi – e non il temutissimo Roi.

Ora, pur con tutte le distorsioni del caso, l’online è molto più misurabile (non parliamo di quello che porta all’ecommerce) e specialmente in tempi i di crisi, le aziende si sono fatte molto più schizzinose rispetto al tema di pagare sulla fiducia, senza poter misurare. C’è quindi chi sostiene che in un futuro tutto l’advertising non sarà che un trailer (magari molto bello ma un trailer) di un’attività online. Leggiamo questo articolo e riflettiamo, specialmente perché è scritto da una persona di peso all’interno di un’azienda pubblicitariamente di peso come Pepsi Cola. Che fa considerazioni di buon senso e intelligenza. Magari non applicabili all’universo dei consumatori. Ma a molti (e a quelli che contano) sì.

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