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La prossima lingua morta: la nostra

25 Settembre 2012

La prossima lingua morta: la nostra

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Di fronte al ridursi dello spazio di attenzione verso la parola, qualcuno auspica la diminutio della letteratura.

Il quotidiano The Star ha pubblicato l’articolo Literature is the New Latin a firma di Michael Reist, per trent’anni insegnante di inglese, con un’idea precisa in testa: esattamente come è accaduto alla lingua latina, anche la letteratura, diciamo, madrelingua sta morendo lentamente.

Intesa come lettura continuativa di molte pagine di testo. Non ci sono dubbi che in sé la capacità di leggere rimanga necessaria. Dopotutto, argomenta l’autore, bisogna essere in grado di comprendere il linguaggio di un Bancomat oppure riconoscere i titoli dei video su YouTube:

We have entered the three-minute world. Anything that takes longer is just not worth it. This is the new attention span. The length of material students are required to read in school increases around the same time their use of screens increases.

Qual è la soluzione per affrontare nella scuola il mondo dei tre minuti di attenzione? L’autore propone di anticipare la specializzazione scolastica e ridurre gli anni di insegnamento generico.

Problematiche che tendono a suscitare reazioni tipo ai miei tempi, sconsigliate. Ai tempi di molti non esisteva neanche Internet; il mondo è cambiato.

Un’altra linea di pensiero poco producente è lanciarsi in paralleli, seppur validi, tra lo studio di materie “morte” e capacità intellettuali richieste dalle nuove discipline. Le declinazioni del latino sono concettualmente poco distinte dall’avere per esempio una variabile parola in linguaggio Ruby, modificarla in parola.length e ottenere la lunghezza della variabile parola. D’accordo, ma siamo allo stesso livello di chi insegna urbanistica partendo da Simcity. Qualsiasi attività contiene elementi in qualche misura validi per l’apprendimento.

Questa strada non salva l’italiano, semmai giustifica la lezione di Scarabeo.

Il punto sta altrove: per esempio la letteratura appartiene alle arti liberali, così chiamate perché degne dell’uomo libero. Nelle epoche passate, essere un tecnico implicava la difficoltà di emanciparsi dalla propria (inferiore) posizione.

Oppure sta in 1984 di George Orwell, la cui neolingua era strumento essenziale perché il Partito conservasse la presa sulla popolazione. Meno parole conoscono le persone, meglio si mantiene il potere. Concetti più semplici vogliono dire meno opposizione.

La domanda è se le arti liberali abbiano conservato la loro connotazione e se Orwell sia ancora attuale. Se il sapersi esprimere con il testo sia ancora funzionale alla propria libertà.

L'autore

  • Lucio Bragagnolo
    Lucio Bragagnolo è giornalista, divulgatore, produttore di contenuti, consulente in comunicazione e media. Si occupa di mondo Apple, informatica e nuove tecnologie con entusiasmo crescente. Nel tempo libero gioca di ruolo, legge, balbetta Lisp e pratica sport di squadra. È sposato felicemente con Stefania e padre apprendista di Lidia e Nive.

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