Dato il mio profilo professionale, posso stare lontano da Facebook come dai fumatori. Ci sono situazioni nelle quali mi tocca avere a che fare con fumatori indipendentemente dalla mia volontà (conosco fumatori molto simpatici con cui è un piacere passare una serata e fumatori estremamente competenti con cui sono onorato di collaborare).
Sono così recentemente rientrato su Facebook. La terza proposta che mi ha fatto il sistema è stata stringere “amicizia” con un giornalista molto noto nel mio ambito, a partire dal fatto che abbiamo un altro “amico” in comune.
Ho avuto stima del giornalista in questione, fino a che è stato vivo. L’ultima volta quasi tre anni fa.
Non ho intenzione di argomentare sui paradossi della virtualità, sul fatto che la pagina personale del giornalista è ancora sul web come se nulla fosse accaduto, che sulla Rete tutto rimane indefinitamente, la privacy, le nuove relazioni al tempo di Internet, il sito dove preparare la propria dipartita, inserire una citazione di de Kerchove a piacere.
Più modestamente, ho avuto la stessa sensazione di quando leggo sui giornali che il tal partito tessera i defunti. Oppure, stando al Partito Pirata, che dentro una commissione del Parlamento Europeo ha avuto luogo una votazione preliminare cui ha preso parte il 113 percento degli aventi diritto.
Mi chiedo semplicemente: come mai tutta l’efficacia di profilazione che tanto sorride ai marketing manager e ogni dettaglio svela delle nostre abitudini, non permette di capire automaticamente che una persona non esiste più, almeno fino a quando non se ne registra l’avvistamento in una bettola del Midwest o si adombra l’ipotesi dell’esilio dorato in Sudamerica?
Perché credo di interessare anch’io al marketing. Solo che adesso, se prima ero scettico davanti alle profferte di Facebook, lo sono di più.