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La (presunta) fine del mouse e la biodiversità delle interfacce

23 Luglio 2008

La (presunta) fine del mouse e la biodiversità delle interfacce

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Sempre più indizi fanno pensare alla fine del dispositivo di puntamento per eccellenza. Alcune alternative già fanno strada, come dimostrano la popolarità di iPhone o Wii, mentre altri studi raccolgono interesse

La voce è arrivata nei giorni scorsi sui siti mainstream ed è di quelle perfette per farci su un notizia di tecnofantasia futuribile e scatenare un lungo ozioso dibattito: la fine del mouse come dispositivo di input per interagire con i computer sarebbe vicina. A sostenerlo un analista della Gartner, Steve Prentice, la quale stima che nei prossimi 2-5 anni (che diventano un secco 4 sui giornali, naturalmente) il famoso dispositivo, brevettato da Douglas Engelbart nel 1967, verrà progressivamente sostituito da altri dispositivi in grado di sfruttare i movimenti umani e il riconoscimento facciale. In fondo il proliferare del multitouch – reso popolare, ma naturalmente non inventato, dall’iPhone, e presto disponibile anche sul prossimo Windows 7 – sarebbe solo un segnale di questa tendenza.

Molto più banalmente, molti utenti esperti usano già ora le cosiddette gesture, movimenti rapidi (del mouse, in questo caso) per interagire in maniera più complessa con i browser. Opera li implementa di default e Firefox richiede un’estensione che rende possibili semplici gesti articolati per andare avanti e indietro, ad esempio, nella cronologia della finestra del browser (di estensioni ce ne sono per la verità molte: All In One Gestures, Mouse Gestures, Fire Gestures).

Lo scopo di queste gesture è quello di ampliare il vocabolario di gesti disponibile con il mouse: anziché ricorrere solo a eventi minimi, come lo spostamento e il clic, l’utente può usare pattern di movimenti, cioè “frasi” gestuali composte da più movimenti in sequenza. L’effetto è quello di ridurre al minimo la necessità di abbandonare lo strumento, o di compiere spostamenti lunghi sul monitor (per esempio per cliccare su un bottone che sta sulla barra degli strumenti) che aumentano il tempo di esecuzione di compiti complessi e magari ripetuti. Insomma, le gesture aumentano l’efficienza, ma richiedono esperienza: bisogna imparare a compiere i nuovi gesti e il loro significato, e ricordarseli.

Da qui all’abbandono del mouse come dispositivo di puntamento il passo è effettivamente non molto lungo. Panasonic starebbe studiando il riconoscimento diretto dei volti e dei gesti nei sistemi di home entertainment, sostiene Prentice. Il televisore riconoscerà così l’identità della persona davanti al video, farà comparire il menu, e con un semplice movimento della mano l’utilizzatore potrà scorrere e selezionare una voce. Agitando le mani nell’aria, come un mago. O come un possessore di Wii, la consolle che è stata fra le prime a introdurre nuove forme di interazione nei videogiochi casalinghi. In quel caso il dispositivo puntatore è sempre presente e c’è sempre anche il filo. Ma non è più obbligatorio muoversi su un piano bidimensionale. D’altra parte il settore del gaming in anni recenti è quello dove più sono state sperimentate nuove forme di interazione uomo-macchina, salvandone solo alcune, e non necessariamente tutte pronte per un utilizzo di massa. Ma col tempo dovremmo vederne delle belle.

Gesture Recognition

Queste ricerche appartengono al settore di studio chiamato Gesture Recognition, che mira proprio a eliminare l’utilizzo di dispositivi meccanici nell’interazione con i computer. L’interfaccia dovrebbe così diventare davvero sempre più trasparente, fino a sparire del tutto. O quanto meno interagire sempre meglio con il mondo fisico tridimensionale al di là (di qua…) del monitor. Le tecnologie “di avvicinamento” ci sono già tutte e non è così fantascientifico aspettarsi l’emergere di altre modalità di interazione (e di nuovi dispositivi) in un prossimo futuro. È già annunciato da Emotiv, per esempio, un caschetto che usa l’elettroencefalogramma per comandare un videogioco (e sui giornali si sprecheranno le notizie sui computer controllati con la forza del pensiero).

Il problema può semmai essere il raffinamento di questi dispositivi. In fondo il primo mouse era piuttosto diverso da quello attuale: non nel principio di funzionamento, ma nella qualità dell’implementazione. Mancava inoltre una interfaccia di tipo grafico complementare che rendesse l’uso dello strumento più agevole e intuitivo. Anche il tempo di penetrazione delle interfacce innovative presso un pubblico di massa è un fattore critico: accanto agli entusiasti, si sentono infatti borbottare gli scettici. I difetti, evidenti per la verità, del multitouch iPhone sono un argomento addirittura per battaglie legali di coloro che hanno le unghie lunghe o le dita grosse, ponendo un problema reale e superabile solo con aggiustamenti del modo di funzionare dell’interfaccia. Inoltre, come sappiamo, i tempi di penetrazione delle innovazioni sono sempre più lunghi delle attese iniziali. L’accettabilità di una tecnologia segue dinamiche che solo in parte riguardano gli aspetti tecnici o di innovazione, incontrando spesso intoppi su quelli fisici, psicologici e sociali.

Il braccio del gorilla

I problemi più noti nello studio di queste interfacce sono gli effetti imprevisti in laboratorio, ma fortemente penalizzanti nei contesti reali. Il più noto è il cosiddetto braccio del gorilla, l’effetto per cui dopo un uso prolungato del braccio teso in avanti per compiere piccoli movimenti sugli schermi touch-screen (testati all’inizio degli anni ’80) l’utente avverte stanchezza e dolore all’arto, che inizia a muovere facendolo penzolare pesantemente come il braccio di un gorilla. Problemi di questo genere non vennero all’epoca rilevati in laboratorio, dove si testano i prodotti per tempi brevi e magari con utilizzatori esperti. Ma divennero decisivi per rallentare la diffusione dei primi touch-screen dell’epoca. Ecco perché non è sufficiente che un’interfaccia funzioni o sia cool in teoria o nei test, per essere certi del suo successo. E, in effetti, i problemi che alcuni utenti hanno con la tastiera a display dell’iPhone sono una variante del “braccio del gorilla”, un effetto non previsto in laboratorio.

Touch-screen, multitouch, gesture recognition sono in cima alla lista delle modalità di interazione che si diffonderanno in futuro. Prentice per la verità parla di interazioni in ambito laptop e gaming/entertainment, il che riduce di un po’ la portata apocalittica della previsione. Il mouse e la tastiera potranno rimanere in uso per compiti tradizionali di data entry. In ogni caso non sembra far rientrare fra i dispositivi futuribili le interfacce a riconoscimento vocale. Non significa che non avranno un ruolo. Ma è difficile immaginare in ambiti desktop e ufficio gente che impartisce contemporaneamente ordini alle proprie macchine ad alta voce. Giocherebbero contro soprattutto problemi di contesto sociale. In automobile i dispositivi vocali (sia di input che, come dall’introduzione del navigatore satellitare ben sappiamo, di output) sono invece molto più appropriati.

Verso la biodiversità delle interfacce

Roger Kay, presidente della Endpoint Technologies Associates, ritiene che semplicemente alcuni utenti non sentiranno il bisogno di questo cambiamento (alcuni già oggi sembrano detestare i piccoli difetti delle interfacce multitouch) e che quindi diverse modalità di interazione per diversi usi e utenti convivranno. Ecco perché il futuro verso cui stiamo andando, in realtà, sarà molto più probabilmente un futuro di disseminazione di molte modalità diverse di interazione con i computer. Spesso diverse anche in base a scopi e contesti. E queste modalità includeranno, più che escludere, nuove forme di interazione e nuovi dispositivi. Si va dunque verso una specie di biodiversità delle interfacce, che le renderà più naturali e più varie, ma che ci richiederà una maggior flessibilità per passare da una forma di interazione e da un contesto all’altro. Che dovrebbe farci più intelligenti, o quantomeno più impegnati a imparare cose nuove. Non è forse la stessa cosa?

Questo spiega perché Logitech, uno dei principali produttori di mouse, non sembri preoccupata per la prossima presunta scomparsa del suo prodotto di cassetta: citando Mark Twain, il vice presidente Rory Dooley giudica infatti la notizia della morte del mouse “fortemente esagerata”. Ma intanto si attrezza a produrre anche nuovi dispositivi.

Pur tentando di mantenere un’anglosassone neutralità in merito alle sorti del ratto con la rotella, l’autore di questo articolo deve confessare che un po’, nella morte del mouse (o almeno in una drastica riduzione dei suoi ambiti d’uso), ci spera. Sì, perché il fatto di essere tornato dopo un lungo periodo (quasi due anni) di uso esclusivo del portatile con trackpad all’uso di un computer da scrivania dotato di canonico mouse ha fatto ricomparire vecchi disturbi fisici creduti superati. Non proprio tunnel carpali, ma fastidiosi risentimenti alla schiena, che, anziché essere imputabili alla semplice postura, vanno ricondotti al particolare movimento continuato e parzialmente trattenuto del braccio destro.

Insomma, il mouse è un dispositivo glorioso e a cui la storia dell’informatica non tributerà mai abbastanza onori. Ma è anche un dispositivo che mortifica la fisicità, approssimato da usare e difficile da imparare per chi non lavori al computer fin dalla tenera età. Richiede la combinazione di movimenti non naturali, che ripetuti esageratamente (ai ritmi poco ergonomici cui la vita da ufficio spesso ci inchioda) amplificano i fastidi causati da altri errori posturali. Agitare le mani per aria davanti a un monitor, per la verità, potrebbe non essere il modo migliore per sentirsi intelligenti o per farsi notare in società. Ma quanto meno aiuta la tonicità dei pettorali. Oggigiorno bisogna saper apprezzare anche le piccole conquiste.

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