Nell’autunno dello scorso anno, com’è noto, la SDMI, un consorzio d’imprese, del quale fanno parte, tra gli altri, France Télécom, Compaq, AOL, Warner e Sony, aveva lanciato una sfida agli internauti di tutto il mondo: un premio di 10.000 dollari per chi fosse riuscito a crackare i codici di protezione del suo sistema di crittatura dei file musicali.
Un’équipe di ricercatori, diretta dal professor Felten, dell’Università di Princeton, aveva annunciato, in seguito, di essere riuscita a crackare la tecnologia installata da SDMI, ma aveva dovuto rinunciare alla pubblicazione dei risultati del lavoro e alla diffusione di qualsiasi informazione sui metodi utilizzati, nonché sul livello di sicurezza del sistema di SDMI, per le pressioni subite dalla RIAA (Recording Industry Association of America) – la più potente lobby americana dell’industria musicale – che aveva minacciato di citare in giudizio gli scienziati per violazione del Digital Millenium Copyright Act (DMCA).
Secondo la RIAA, infatti, la citata legge americana renderebbe illegale la realizzazione o la diffusione di qualsiasi tecnologia che permetta di oltrepassare i sistemi di controllo che l’industria discografica utilizza per proteggere i diritti d’autore.
Tuttavia, i ricercatori americani, con il sostegno dell’Electronic Frontier Foundation (EFF) – un’organizzazione per la difesa della libertà su Internet – hanno deciso nei giorni scorsi di avanzare un’istanza alla Corte Federale, perché si pronunci in merito alla posizione adottata dalla RIAA contro gli scienziati.
La principale argomentazione su cui si fonda la richiesta, riguarda la violazione del primo emendamento della Costituzione americana che tutela la libertà di espressione.
Il professor Felten ha dichiarato, infatti, che l’interpretazione del Digital Millenium Copyright Act fornita dalla RIAA, qualora dovesse essere accolta, finirebbe col rendere illegale la ricerca scientifica in un importante ambito tecnologico.