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La guerra dei marchi va in video

07 Febbraio 2006

La guerra dei marchi va in video

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Google è primo nella classifica dei marchi più influenti del web, ma ha tanti avversari alle costole da cui guardarsi con attenzione. A cominciare da Yahoo!, che lo attende sulla linea di frontiera della tv online.

Prosegue accanita la lotta al primato per i marchi più affermati online. Ormai non si tratta più o soltanto di essere tra i motori di ricerca o i portali più gettonati: quel che conta è imporre la propria etichetta doc, il simbolo-guida su cui fare clic a ogni bisogno. Un contesto in fermento continuo dove calza a pennello la classifica dei marchi più influenti del 2005 diffusa di recente da brandchannel.com. La guida l´onnipotente Google, con Apple al secondo posto e la (relativa) sorpresa Skype al terzo.

Rispondendo alla domanda «quale marchio ha avuto maggior impatto sulla vostra vita durante il 2005?», il sondaggio online ha ricevuto risposte da oltre 2.000 professionisti e studenti di ogni parte del mondo, ovviamente alquanto attenti all´ambito high-tech e dintorni. Senza entrare nei motivi della scelta, la maggioranza dei votanti (compresi tra i 26 e i 35, uomini un terzo in più delle donne) ha dunque confermato il successo raggiunto dal team californiano. Lo scorso anno Google era appena dietro Apple, mentre stavolta i ruoli sono risultati invertiti. La lotta per la leadership si è poi confermata nella classifica riservata al Nord America: Apple, Google e (la catena di bar-café con annesso wi-fi) Starbucks nell´ordine, seguiti a distanza dai grandi magazzini Target e, finalmente, da un marchio umano, quello del ciclista plurivittorioso Lance Armstrong.

Va detto che il sondaggio, giunto alla quinta edizione, non prendeva in considerazione il valore economico dei marchi votati, solo la popolarità, e che in passato aveva prodotto risultati giudicati controversi da qualcuno (Al Jazeera al quinto posto globale nel 2004), mentre c´è chi liquida in un attimo il Readers Choice Awards, definendo chi vota una banda di hyper-caffeinated gearheads. Comunque sia, dopo il terzo posto di Skype, icona sempre più diffusa grazie anche alla forte spinta ricevuta dall´ingresso nella scuderia e-Bay, la classifica globale segnala di nuovo Starbucks e la catena di mobili svedesi Ikea, la cui presenza offline continua a espandersi (20 nuovi negozi lo scorso anno nel mondo), mentre Nokia conquista l´alloro per Africa ed Europa, e Sony si conferma vincente davanti a Samsug nella regione asiatica.

Google resta intanto al centro dell´attenzione per le ricadute di una sorta di sfida al governo Usa. Com´è noto, l´azienda di Silicon Valley ha opposto un netto diniego alla formale richiesta del Dipartimento di Giustizia (il subpoena) per aver accesso ai risultati di ricerche di siti per adulti, onde tentare di rimettere in piedi normative a tutela dei minori online, in particolare quel Child Online Protection Act già bocciato nel 1998 dalla Corte Suprema perché incostituzionale. Pur se tali dati non portano comunque all´individuazione di alcun utente o provider, i molti difensori ad oltranza della privacy hanno subito applaudito la decisione di Google: l´assenso avrebbe creato un pericoloso precedente per maggiori intrusioni governative tra i web-surfer. Pur se è vero che l´archiviazione continua di tutti quei dati, e per di più centralizzata, non è certo una pratica positiva: può attirare le voglie di certi zelanti funzionari o altre mega-entità in futuro. Yahoo!, AOL e MSN dal canto loro hanno aderito ad analoghe federali, ribadendo che non esiste alcun rischio di rivelare nominativi o di colpire la privacy online.

Eppure, un paio di giorni dopo questa notizia, le azioni di Google, dopo essere state in quotidiana ascesa dall´epoca dell´ingresso a Wall Street nell´agosto 2004, sono cadute dell´8,5%. Pur se il declino del mercato è stato generale, gli esperti non hanno mancato di sottolineare la connessione tra i due eventi, inclusa una nota dell´agenzia WR Hambrecht dove si legge tra l´altro: «Crediamo che il mercato reagirà negativamente a questa notizia, facendo calare il prezzo di Google». Aggiungendo però più avanti che a breve termine, l´azienda non subirà declino nel traffico, e quindi nulla di preoccupante, anche se resta da vedere come si svilupperà la questione del “subpoena” per le annesse conseguenze a largo raggio soprattutto rispetto all´immagine del marchio Google non solo online.

Dulcis in fundo, Google deve difendersi da un altro razzo stavolta lanciato da Yahoo!: il prossimo arrivo di progetti-pilota per la produzione di mini-serie trasmesse sul web. L´Internet video sta diventando una parte sempre più cruciale del business di Yahoo!, e da tempo il portale offre parecchio materiale esclusivo: dalla prima di Fact Attress (1,2 milioni di stream) a special su Howard Stern (4,4 milioni di stream) ai video musicali (quasi 3 miliardi di stream nel 2004). Ora si tratta di organizzare un canale con programmi originali, concerti, eventi sportivi e altro materiale assai appetibile per la variegata e crescente fascia di utenti che non può fare a meno della banda larga (negli Stati Uniti soprattutto). Secondo Ira Kurgan, Ceo della divisione Yahoo! Media, «si potrà passare istantaneamente dalle news alla finanza allo sport, quasi un “one-stop shopping” per ogni esigenza di intrattenimento».

Una strategia in cui va incluso l´acquisto di Broadcast.com per la non modica cifra di 5,7 miliardi di dollari, il lancio poi rientrato di Yahoo! Platinum per il video on demand dietro abbonamento, l´accordo con CBS per la diffusione in streaming di alcune serie già passate sul piccolo schermo. Un business articolato, particolarmente mirato ad attirare nuovi inserzionisti, con alcune previsioni che prevedono addirittura il triplicarsi dell´attuale budget complessivo per gli annunci nel mercato video, fino a toccare 640 milioni di dollari nel 2007. Pur se è ancora presto per dire come il tutto si svilupperà, ciò sta iniziando a preoccupare perfino i network tv e i canali via cavo, oltre che spiazzare futuri concorrenti. A cominciare da iTunes Video a prezzi stracciati, e che ne promette delle belle ora che Disney ha appena inglobato Pixar e, per via del Ceo Steve Jobs in coabitazione, si mostra sempre più a braccetto con Apple. Manovre che stanno sicuramente allarmando anche il colosso Google, il quale però deve vedersela con forti venti di cambiamento e che in quest´ambito specifico sembra ancora incerto su come muoversi.

Staremo a vedere, letteralmente.

L'autore

  • Bernardo Parrella
    Bernardo Parrella è un giornalista freelance, traduttore e attivista su temi legati a media e culture digitali. Collabora dagli Stati Uniti con varie testate, tra cui Wired e La Stampa online.

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