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La fine di Macintosh

15 Maggio 2000

La fine di Macintosh

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Il duemila sarà l'ultimo anno per uno dei sistemi operativi che hanno fatto la storia dell'informatica. Con la versione 9 attualmente in commercio va definitivamente in pensione Mac OS, il sistema operativo Macintosh

Nato nel 1984 è stato il primo sistema a 32 bit con interfaccia grafico di tipo analogico, quando i PC andavano ancora con gli schermoni neri. Nel 1990 Bill Gates pareva un rivoluzionario a decretare la supremazia del software (e spiccatamente dell’interfaccia utente) nei confronti dell’hardware, ma in Apple da più di un lustro si creava l’hardware in funzione delle scelte di progettazione del software e quindi della soddisfazione del cliente.

Essere il primo sistema analogico non vuole dire soltanto avere inventato le icone e avere introdotto il mouse come prolungamento della mano dentro allo schermo, vuol dire soprattutto avere creato una logica ad oggetti interattivi invece che a sequenze di comandi; significa aver reso il computer simile al modo di operare delle persone, invece di costringere queste a ragionare come delle macchine. Nasce con Mac OS la scrivania come metafora del posto di lavoro, idea che ritorna anche nel software di impaginazione e di grafica per Mac. Non mi dilungo oltre a raccontare tutti i pregi in parte ancora esclusivi del Mac OS, visto che sta per essere archiviato assieme al DOS o all’Amiga nel museo dell’informatica.

Il nuovo sistema operativo per i computer Apple é da tanto atteso da non fare più notizia. La sua versione server é distribuita da più d’un anno oramai, ma senza particolare successo, se escludiamo la notizia secondo la quale sarebbe stato adottato dall’aeronautica militare degli Stati Uniti che per l’occasione si sarebbe liberata di NT. Il vaporware comunica che MacOS X dovrebbe essere nei negozi per quest’estate in un’unica versione multilingue (proprio come le distribuzioni Linux-KDE – speriamo con risultati migliori), venduto ad un prezzo che oscilla fra le due e le trecento mila lire. A inizio estate dovrebbe essere disponibile a prezzo ridotto e per pochi l’ultima beta. Qualcuno ha già scrutato in una delle ultime pre-release, la 3, che si dice essere prossima al passaggio alle prime beta, ma i resoconti non suscitavano un particolare entusiasmo.

Si è passati ai vari tentativi di migliorare la vecchia architettura, tutti abortiti in un autentico quanto vano bagno di sangue economico, al flirt con l’entusiasmante, quanto provvisorio, kit di montaggio di Gassée, il Be OS, da poco ritornato agli onori della cronaca per la sua adesione alla formula dell’Open Source contemporanea all’uscita della versione 5, fino al ritorno di una vecchia gloria, NeXT/OpenStep di Avie Tevanian (alla regia) e Steve Job (alla produzione), a quell’architettura a scatole gialle e blu ricomposta nel progetto Rapsody (un sistema per tutte le stagioni, pronto per Apple come per PC) e infine a questo MacOS X, che si legge dieci, come dire che si tratta della release numero dieci, ma che forse sarebbe meglio chiamare Mac OS X 1.0, o X 1.0 (dove X, più che “dieci” si richiama alla famiglia d’origine (Uni)X, (Posi)X, (Linu)X, X(Windows)…), in quanto prima versione di qualcosa di completamente nuovo per il tranquillamente conservatore mondo della mela, ma non per quello del PC (e non é un caso che ricircoli il rumor di una versione OS X per macchine Intel compatibili).

Se infatti NeXT all’inizio degli anni ottanta poteva essere considerato, con uno sguardo a posteriori, l’antesignano di tutte le interfacce scalari di UNIX e delle sue distribuzioni (un po’ come se fosse Linux e Red Hat al tempo stesso), in grado di funzionare sia su macchine NeXT che su sistemi Intel, é sui PC che l’architettura Unix si va diffondendo maggiormente, proprio grazie alle distribuzioni di Linux. Tuttavia, pur con le più curate delle interfacce, per quanto potente, l’ambiente Unix-POSIX-Linux rimane ostico da configurare e da gestire per l’utente finale. Se questa non é una novità per gli utenti Wintel, fa invece rizzare le antenne a quelli Mac che già ultimamente davano segni di impazienza per le crescenti complicazioni della Cartella Sistema.

OS X sarà un sistema multiutente e questo significa che bisognerà probabilmente imparare che i possessori di macchine stand alone (la stragrande maggioranza) dovranno accedervi come amministratori solo per le attività di impostazione, definendosi poi come utente quando vogliono lavorare. Al posto della Cartella Sistema dovranno abituarsi a directory dai nomi ostici e al posto dello scorcio tradizionale e del solito modo di muoversi un po’ approssimativo, dovranno imparare come funziona il nuovo OS, senza dare nulla per scontato anche se all’apparenza cambia poco: più che mai con X, l’apparenza inganna!

Tanto per cominciare, sulla scrivania non troverete più le tanto amate icone dei dischi che compaiono appena inseriti. Gli unici oggetti che il sistema consente di ospitare sul desktop saranno gli alias. Nessuno vieta che, come in Windows o in Linux, creiate tanti alias quanti sono i vostri dischi, ma certo non è la stessa cosa. Per esempio, potete creare l’alias al CD-ROM, ma non si verificherà più la magia che faceva comparire il nome del disco dei vostri videogiochi preferiti come icona auto esplicativa in colonna agli altri dischi. Apparirà sempre, certo: nel Finder! Ma il vostro bambino farà la stessa fatica di un figlio di Windows a trovare (e voi a guidarlo) la “Gestione Risorse” che qui continuerà a chiamarsi Finder, pur rimanendo – anteprime e estetismi vari a parte – identica ad Explorer di Windows.

Quello che tutti aspettiamo come l’acqua potabile per un naufrago è un sistema operativo stabile, che non faccia crashare i programmi a causa dei conflitti di indirizzamento e che comunque, anche se questi si bloccano, non ne subisca l’urto. A soddisfare queste condizioni per ora ci sono solo Linux e OS/2, anche perché di programmi ne hanno talmente pochi che il rischio è ridotto, e Windows NT, che invece di pasticci ne deve reggere proprio tanti. Apple ha da affrontare una situazione scabrosa dal momento che deve fare convivere programmi nati per OS X (quasi nessuno), per NeXT (pochissimi) e i “carbonizzati”, quelli cioè aggiornati sul set di librerie di transizione noto come Carbon.

Tuttavia il vecchio sistema dei box colorati di giallo e blu continua a sopravvivere, solo che ora i programmi per vecchio OS girano in un ambiente che si chiama Classic, in sostanza una sorta di emulatore, un programma che fa da frame per fare girare applicativi pregressi: quando questi andassero in blocco si potrebbe sempre riavviare la macchina virtuale, mentre quella sottostante riposa efficiente. In questo momento si potrebbe profilare il paradosso di un frame Classic dentro al quale un frame Softwindows fa girare Windows 98 all’interno del quale magari un altro frame fa girare Be OS (a cui Jobs continua a negare le specifiche per il porting sulle macchine G3 e G4, nonostante, o forse proprio per quello, diversi utenti Mac ne avessero apprezzato le molte qualità, da un anno a questa parte riservate ai possessori di PC compatibili).

Un passaggio simile lo aveva sofferto già Microsoft circa quattro anni fa con la transizione da Windows 3.X a Windows 95; anche qui gli applicativi per piattaforma 16 bit viaggiavano in un programma di frame trasparente all’utilizzatore, ma non esente da tanti blocchi e conflitti. Il fatto è che Microsoft era una potenza e chi avesse avuto dei dubbi se li è fatti passare per stare dietro al mondo che, come si sa, da molto tempo non fa che stare dietro a Microsoft. Per ridurre questo caos Apple invece ha scelto un’altra strada, forte dei suoi evangelisti e del suo gregge fedele: ci ha fatto comprare un pesante OS 9 che di utile per il “rest of us” ha ben poco, mentre ne ha molto per Apple stessa che lo usa per fare pressioni alle tante software house i cui programmi si bloccano con l’ultima versione perché li aggiornino su specifiche Carbon, compatibili OS X.

Certo, le paure di un flop del figliol prodigo non possono non esserci: era già difficile limitare l’esodo dei programmatori a Windows e ancor di più riportarne a casa. Se ora non li si convince a lavorare per il nuovo, nessun utente farà il passaggio. Allora ben vengano le tante grane che hanno dovuto sopportare le software house, complice il cliente militante che aggiorna e paga per patire le pene del diavolo con i mille programmi che non funzionano e mandano in tilt il sistema. Lui sì che sarà contento a passare al X, almeno limita i danni dei crash e dà seguito all’investimento in aggiornamenti applicativi (molti programmi infatti non hanno prodotto degli aggiornamenti, ma hanno imposto l’acquisto di un pacchetto nuovo, come le Norton Utilities, Aladdin Stuffit e Adobe Photoshop).

I molti che invece non vedono ragioni per abbandonare gli OS 8.X, o magari i 7.X saranno gli ultimi a passare a OS X. I nuovi invece saranno costretti a farlo, perché da gennaio di macchine con OS vecchi Apple non ne metterà più in circolazione e verosimilmente ne assottiglierà il supporto fino a che piano piano ci si troverà nella situazione di chi oggi possedesse ancora un 68K e che deve tenere ben stretti i vecchi programmi perché di nuovi che girino sulle sue macchine non ne troverebbe più. Non solo, chi ha un PowerMac onorevole, come un 603 o un 604 potrebbe non montare il nuovo OS o patire delle sofferenze che lo spingeranno a rinnovare la macchina o a resistere con gli OS 7X o 8.X fino a che non ce la farà proprio più.

Che a regime X sia un sistema di una robustezza ineguagliata rispetto agli OS di consumo, oltre che di un’integrazione e di una ricchezza inarrivabile per i sistemi robusti sembra essere l’unica certezza su cui possiamo contare. La sua architettura è un raro esempio di eleganza, potenza, leggerezza e stabilità.

Le fondamenta dell’edificio stanno tutte in quel nome che sa di evoluzione, ma anche di selezione naturale. Darwin è oltrettutto la parte aperta del sistema, nel senso che i codici di programmazione sono a disposizione di tutti a patto che chi li userà per ottenere un qualsiasi prodotto renda aperti anche i codici del suo prodotto. Non è stato un grosso sforzo, ma piuttosto un atto dovuto, visto che a loro volta quelli di NeXT-Apple hanno attinto ai lavori aperti della comunità UNIX per realizzare X. Quest’ultimo infatti è tutto men che aperto. Le parti OpenSource di X sono invece quelle vicine al nucleo. Innanzi tutto il kernel Mach 3, originario della Carnegie Mellon University, frutto del lavoro di PhD dello stesso Tevanian e alla base dell’architettura di NeXT, di OpenStep, MkLinux e Open Software Foundation.

Mach 3 e Mach 4 sono forse i kernel più stabili e flessibili in circolazione, così come il layer BSD rappresenta la “distribuzione” di Unix più robusta ed efficace (ma forse anche la meno socievole). La parentela di X con FreeBSD rende compatibili tutte quelle applicazioni che girano sui più importanti server Internet, come i principali motori di ricerca: è poprio grazie a questa familiarità che Mac OS X server ha potuto integrare fin da subito il server Apache. Mach 3, POSIX, FreeBSD, XServer sono tutti OpenSoftware e sarebbe stato disonesto da parte di Apple (nonostante una certa primogenitura) non rendere Open Source anche Darwin, che altro non è che l’insieme di queste parti in una soluzione originale. Comunque sia, sarà proprio Darwin a fornire la potenza e la sicurezza che ci si aspetta dal nuovo OS, memoria protetta e multitasking prelazionale reali ed efficienti in primis.

Sopra Darwin, trovandoci nella patria dei grafici, non poteva che starci il motore grafico. Questo si regge su tre standard: OpenGL, il punto di riferimento della grafica di tutte le nuove macchine, abbondantemente sfruttato dai principali produttori di applicazioni grafiche e soprattutto di videogiochi; QuickTime che è stato eletto come riferimento ufficiale per lo streaming video, e soprattutto per l’algoritmo MPEG 4; Quartz, che altro non è che PDF, il motore di editing di Adobe, che in X sostituirà Pict come formato di base della grafica e dell’editoria.

Dei tre motori grafici quello più influente sul prodotto finito sarà proprio quest’ultimo che andrà a ridurre il caos della post-produzione e del pre-stampa, imponendosi come standard definitivo (almeno per un po’) per esportare e distribuire i propri lavori. Quartz ha talmente tante implicazioni che dovremo dedicare un articolo solo per lui e forse non basterebbe a prevedere tutte le conseguenze che potrebbe originare. Basti pensare ad alcune delle possilità che metterà a disposizione fin da subito: la calibratura della trasparenza standard e nativa su tutti prodotti, a partire dalle interfacce fino ai flies grafici, i canali alfa, l’antialiasing, la regolazione delle routines di compressione interne, grandi libertà nella gestione dei font e la loro incorporazione nei documenti. Tutte le applicazioni, come possono oggi salvare in solo testo o in pict, a seconda dei casi, domani potranno salvare e aprire ogni genere di documento in formato PDF di sistema.

Al piano di sopra troviamo poi gli standard e gli stumenti per la programmazione, Classic, Carbon e Cocoa. Se dei primi due abbiamo fatto già cenno e fanno in qualche modo parte della storia, Cocoa è la messa in pratica di quella filosofia ad oggetti che aveva fatto grande NeXT e OpenStep le quali potevano vantare di progetti completamente object oriented fin dall’inizio del ’90, mentre tutto il resto del mondo ancora doveva capire il senso di questa filosofia. Cocoa è programmabile in qualsiasi linguaggio Object Oriented come i nuovi C o come Java. Per queste ragioni a Cupertino si dicono convinti che nessun altro OS farà funzionare applicazioni Java e Java 2 come X. Apple vuole battere tutti nel fornire supporto e una cornucopia di librerie a chiunque programmi per lei, ma nello stesso mira ad imporsi come presidio di eccellenza nella programmazione.

Se finora abbiamo parlato della parte sommersa del continente X e, tutt’al più di qualche ciuffo d’erba, il mondo ultra-Macintosh Apple lo ha pensato coperto di acqua. Aqua infatti è il soprannome assegnato all’interfaccia utente costituita da un file di 5 Mb. E qui le cose si fanno difficili. Nessuno contesta che il motore, la scocca e l’abitacolo della nuova macchina siano il “Linux” migliore che si possa immaginare e quindi la kill app di tutti i sistemi operativi, ma cosa accade quando si entra nell’abitacolo e non si trovano più le cose dove eravamo abituati. Se quel confort, lo stesso che rendeva unico il Mac OS e che il più delle volte era la sola ragione che portava i clienti a scegliere Mac invece di un molto più economico PC assemblato, non c’è più e se quello che lo sostituisce non convince allora sarà possibile che il nuovo ambiente possa trovare maggiore accoglienza nel mondo PC, da tempo abituato alla controintuitività, che in quello Apple.

Vediamolo meglio: icone dimensionabili alla misura di pixel preferita e finestre trasparenti (anche le finestre di dialogo che così ci fanno leggere il numero di registrazione del programma o il titolo del documento mentre digitiamo), che si espandono e si contraggono con un singulto sonoro ad ogni passaggio di mouse, come un roll-over su una pagina Internet; pulsanti di scelta preselezionati con un lampeggio al posto del fin troppo sobrio grassetto. Le pagine che vengono selezionate a prescindere dal programma (se ho dieci pagine di browser aperte e il programma di fotocomposizione attivo, quando cliccherò una delle pagine di un sito le altre continueranno a starsene dietro, buone buone).

Un Dock alla base (un po’ a metà fra Linux, e la Pulsantiera, ma tutt’altro che facoltativo) con icone non certo discrete, ma che consentono a grafici e creativi di sbizzarrirsi e ai produttori di monitor sovradimensionati di arricchirsi. Effetti caleidoscopici, pirotecnici, coreografie da ballo nel modo in cui le finestre compaiono, scompaiono, si attorcigliano per farsi risucchiare in doppia carpiata in un’altra, nel desktop o nel Dock. Qualcuno può pensare che se tutto questo non gli piace potrà sempre cambiare ambiente o tema… Sbagliato: i temi sono riscomparsi nel limbo in cui erano stati tenuti per anni.

Finestre arrotondate con quattro pulsanti semaforici, rosso per chiudere, giallo per contrarre, verde per espandere e grigio per lavorare o meno a finestra singola. Cosa vuol dire? È il sostituto del comando “Nascondi Altre”. Forse una regressione nostalgica ai tempi del DOS, quando funzionava un programma alla volta e la gente non si confondeva (l’altra faccia del multitasking!). Quando lo capiremo meglio ve lo diremo, ma a tutta prima sembra proprio l’aggancio delle finestre di Linux. Se vi eravate affezionati a Geneva, sappiate che il nuovo font di sistema sarà Lucida (già molto diffuso in ambiente Linux)

E infine quel Finder, futura “apple della discordia” degli utenti che si incominciano a dividere fra intuizionisti e fondamentalisti. Scompare la lista delle applicazioni attive e il menu Apple; in cambio abbiamo il Dock e soprattutto il Finder. Ma se tutto stava lì che cosa ci hanno lasciato il desktop a fare? Tanto valeva fare corrispondere la scrivania con il Finder che quando aprivi il computer vedevi solo lui sullo sfondo.

Avremmo fatto una e più fatiche in meno: quella di aprire e chiudere in continuazione questo browser ogni volta che dovevamo trovare un documento, un programma, fare una ricerca su Internet o accedere al CD-ROM. Il Finder è un osseqio alla razionalità da cervello destro logico-numerico di Microsoft e dei falchi della programmazione vecchia maniera. È la fine del predominio dell’organizzazione mentale dell’utente su quella della macchina. Se sulla scrivania potevi organizzare il tuo computer perché riflettesse quello specifico e tanto amato caos che chiami ordine, ma con il quale ti capisci tanto bene che a volte il computer ti serve addirittura per scoprire come ragioni, da domani si torna alla buona pedagogia dei tecnocrati e quello che vedi è com’è dentro la macchina, com’è organizzata. Lo dovrai studiare perché il fascino, secondo loro non sta dentro di te, ma dentro di lei. E, se la comprenderai a fondo, forse capirai qual è il modo giusto in cui dovresti imparare ad organizzare la tua mente e la vita. Perché per il tecnocrate c’è sempre un modo giusto e uno sbagliato di fare le cose; e quello giusto e il suo sono la stessa cosa.

Ma se le cose devono proprio andare così, in cambio noi bionti che cosa ne otteniamo? Innanzitutto che sta tutto dentro là! E questo mentre addirittura gli utenti Windows si sono stufati di fare ricorso in continuazione a “Gestione Risorse” e si creano le cartelle di scorciatoia in scrivania per quello che usano di più o che hanno usato per ultimo! Guadagnamo che non dovremo ricostruire in continuazione i database della scrivania, perché da oggi la scrivania diventa, come per tutti gli altri OS, nient’altro che una directory particolare. Quando selezioniamo un file (e ricordate che il doppio clic su una cartella non farà aprire nessuna finestra: c’è solo il Finder) ne dovremmo vedere l’anteprima a lato, ma si direbbe che la cosa funzioni solo per i formati più comuni, come PDF e files grafici: fa tanto ganzo anche se gli orbi non sapranno che farsene e anche gli ipermetropi ne trarranno beneficio solo con i mega schermi di cui sopra.

Abituatevi ora fin da subito a questi termini che sono le voci del nuovo finder e quindi la rosa dei venti del vostro computer: Computer, corrispettivo della cartella root, dove si trovano le configurazioni accessibili al vostro livello di utente per la macchina; Home che rappresenta il punto da cui il vostro livello può vedere la sua fetta di hard disk, esotericamente /Local/User/nomeutente/; Apps è la cartella delle applicazioni di quell’utente che contiene solo degli alias, quelli delle applicazioni a cui si è abilitati (/Local/User/nomeutenteApplications/); Docs che porta alla cartella predefinita per i documenti di proprietà di quell’utente (/Local/User/nomeutente/Documents/); Favorites che sono i favoriti, ridondanti già nel Finder attualmente distribuito; People che porterà all’indirizzario degli utenti per quel computer (utile anche per la posta elettronica e l’agenda dei contatti); View che imposta le viste, mentre le ricerche le farete direttamente inserendo il testo in uno spazio, simile a quello dell’URL nei browser, posto nel Finder e che dovrebbe funzionare contestualmente all’ambiente dove ci si trova (disco, contatti, Internet…).

Se poi invece doveste essere di quelli che pensano di potere intervenire con il coltello svizzero in ogni situazione, sarà bene che vi attrezziate perché qui le cose funzionano diversamente. Tanto per cominciare cambia anche il file system e da una macchina OS tradizionale non potrete più vedere un disco d’avvio che il sistema vuole a tutti i costi in UFS invece che in HFS. Per questo sarà bene che, appena installate il nuovo OS, prima di tutto ripartizionate il disco e mettiate tutti i file di sistema nel disco di avvio. Occorrerà poi che siate generosi in dimensioni con questo disco, perché se avrete la sventura di riempirlo più del 95-97% non ci sarà più verso di fare ripartire la macchina. Poi vi conviene assumere un’identità e, una volta installata e configurata la macchina, dimenticarsi dell’accesso da amministratore; ma piuttosto che entrare un po’ da utente, un po’ da root è meglio entrare sempre in quest’ultimo modo, altrimenti si finisce per disorientarsi definitivamente con effetti disastrosi.

Se poi siete di quelli a cui piace trafficare con estensioni e pannelli, frenate gli istinti perché potreste perdere la tramontana: solo all’apparenza il funzionamento potrà somigliare a quello dei vecchi OS, nei fatti è tutto diverso e più complesso (dicono che potenza e sicurezza hanno un prezzo: l’avevo già sentito negli ambienti da cui ero scappato). Logico corollario di questo assioma: non fatevi attirare ad installare di tutto e non clonate la vecchia macchina se non volete dedicare i prossimi mesi all’enigmistica informatica. Partite da una configurazione leggera, essenziale, per poi implementarla piano piano e solo con quello a cui veramente non potete fare a meno. Se non avete l’abbonamento ad Internet, fatevelo in tempo utile, perché potrete passare il vostro tempo libero alla ricerca di aggiornamenti e patch. Potrete buttare insomma nel cestino la vecchia pubblicità di Apple dove grosso modo si recitava che “a volte i manuali possono essere utili anche agli utenti Apple”, mentre sullo sfondo un pupo stava seduto col pannolone sopra una pila di libri. Con X i manuali servono, eccome!

Dicono infine che X non si pianta mai, ma Accomazzi ci consiglia, parlando della versione server (e tutto lascia supporre che sia valido anche per la versione desktop), di salvare una copia del file /etc/hostconfig (ad esempio come hostconfig1) e se Murphy dovesse colpire anche voi potrete sempre provare ad avviare tenendo schiacciato il tasto S in modo di accedere alla sala macchine dove scriverete:

mount -uv cd etc/ rm hostconfig mv hostconfig1 hostconfig exit

Eccoci dunque pronti a salutare Macintosh: benvenuti in…Unix.

Per cominciare ad allenarvi ad alcune caratteristiche della nuova interfaccia vi proponiamo una selezione del software (8,2 Mb) http://www.Portali.it/pub/SimulAqua.sea che renderà il vostro Finder un po’ più simile ad Aqua e al browsing di OS X.

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