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La distopica Dataland

04 Novembre 2013

La distopica Dataland

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La tecnologia è neutrale rispetto all'uso buono o cattivo che se ne può fare, ma i numeri che essa elabora non lo sono.

Vediamo le strade riempirsi di manifestanti al grido di intercettateci tutti nello stesso istante in cui i media pubblicano ogni giorno sullo scandalo PRISM e sull’attenzione dell’NSA verso le comunicazioni di gran parte del globo.

Si è già capito che qualunque definizione avessimo per la parola privacy prima di Internet, finirà per essere radicalmente revisionata. Non sarà mai troppo presto, perché c’è un’altra problematica meritevole di trattamento: l’alter ego benigno della sorveglianza continua, i Big Data.

Si inzia a parlarne il 21 settembre 2011, quando danah boyd della New York University e Kate Crawford di Microsoft Research pubblicano il saggio Six Provocations for Big Data, diciassette pagine sul rapporto tra costi e benefici del fenomeno e domande scomode quanto quelle sulla sorveglianza governativa:

L’analisi del DNA su vasta scala aiuterà la cura delle malattie? O scatenerà una ondata di diseguaglianze mediche? L’analisi dei dati favorirà un accesso più efficace ed efficiente alle informazioni? O il tracciamento di chi protesta per le strade delle grandi città? Trasformerà il modo di studiare la cultura e la comunicazione umana oppure restringerà i metodi di ricerca fino ad alterare il significato stesso della parola? Tutto questo o solo qualcosa?

Qui c’è spazio solo per le sei Provocazioni: automatizzare la ricerca cambia la definizione di conoscenza; le pretese di obiettività e accuratezza sono fuorvianti; dati maggiori non sono sempre dati migliori; non tutti i dati sono equivalenti; che sia accessibile, non lo rende etico; l’accesso limitato ai Big Data create nuovi divari digitali. La lettura completa del documento è ampiamente raccomandata.

Crawford sta portando avanti la ricerca e c’è chi scrive Non voglio vivere a Dataland, un articolo di Michael Fitzgerald realizzato da poco per Information Week.

Nel quale si dà conto di Google Flu Trends, che l’anno scorso ha previsto malati di influenza in numero doppio rispetto alla realtà dopo anni di grande affidabilità; ci si chiede se studi come quelli dell’università di Cambridge sulla grande predicibilità di tratti politici, religiosi, emotivi e quant’altro porteranno a fenomeni di discriminazione preventiva; si racconta di come i grandi magazzini Target abbiano scoperto la gravidanza di una minorenne prima dei genitori e altro ancora.

I Big Data ci sono e aumentano, in volume e importanza. Mancano i confini etici, le regole condivise, la cognizione generale del tema.

L'autore

  • Lucio Bragagnolo
    Lucio Bragagnolo è giornalista, divulgatore, produttore di contenuti, consulente in comunicazione e media. Si occupa di mondo Apple, informatica e nuove tecnologie con entusiasmo crescente. Nel tempo libero gioca di ruolo, legge, balbetta Lisp e pratica sport di squadra. È sposato felicemente con Stefania e padre apprendista di Lidia e Nive.

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