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La cultura partecipativa nei media digitali

08 Maggio 2007

La cultura partecipativa nei media digitali

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L’influenza di YouTube e Second Life, le contraddizioni sulla proprietà intellettuale, la creatività e collaborazione diffusa, così come le vede Henry Jenkins

Nel corso del recente Media in Transition 5 abbiamo intervistato Henry Jenkins, direttore del Comparative Media Studies Program al MIT e maggiore coordinatore dell’evento. Disponibile e affabile, Jenkins (nella foto) si è concentrato sull’integrazione continua fra la produzione mediatica tradizionale e quella degli utenti. Temi affrontati nei suoi lavori più recenti delineando scenari spesso contraddittori, a cominciare dalle diatribe sulla proprietà intellettuale Ci vorrà ancora tempo per capire in quale direzione andrà sfociando l’attuale fase di transizione, oltre allo sforzo congiunto e collaborativo dei molteplici attori coinvolti.

Qual è oggi lo stato della cultura partecipativa online, a un anno dalla pubblicazione degli ultimi suoi libri, Convergence Culture e Fans, Bloggers and Gamers?

I due elementi che in questo frattempo hanno dato una grossa spinta alla cultura partecipativa che tentavo di descrivere in quei volumi sono senz’altro YouTube e Second Life. Il primo rappresenta questa ricca e ibrida ecologia mediale dove vanno confluendo le forme più disparate di fan culture e produzione amatoriale. È anche il luogo in cui tale produzione, legale e illegale, va confrontandosi apertamente con i corporate media sul terreno giuridico. YouTube, che viene usato anche dal mondo non profit, dagli attivisti politici e così via, è divenuto il nuovo luogo d’incontro della cultura partecipativa sul web. È il canale di distribuzione mancante per la produzione amatoriale di buon livello e il coagulante di un’enorme massa critica raggiunta in un periodo di tempo relativamente breve.

Nel contempo assistiamo all’emergere di Second Life come ambiente virtuale polivalente dove è la comunità stessa a produrre la realtà. L’intero sistema è andato materializzandosi sotto la spinta di fantasie collettive e dell’attivismo dei singoli. Di nuovo, uno spazio in cui coesistono professionisti e dilettanti, dove l’alfabetizzazione nell’uso dei media si integra con le produzioni delle grandi corporation. Tutti soggetti che usano Secondo Life per sperimentare nuovi approcci, per mettere alla prova nuove identità, relazioni e attività imprenditoriali di tipo nuovo. E ormai sono entrambi fenomeni di portata globale, che riguardano persone di ogni Paese del mondo.

Quali sono gli effetti della commercializzazione di questi ambienti (YouTube soprattutto), e qual è lo spazio per il cosiddetto user generated content?

Per molti versi tutta questa produzione di base va ponendosi in rotta di collisione con la tipica offerta di contenuti delle grandi società mediatiche, generando conflitti sulla proprietà intellettuale. Ma alcuni recenti casi qui in Usa rivelano, da parte delle aziende, il riconoscimento del validità del cosiddetto user generated content. Pur se ci troviamo di gran lunga in una fase di aggiustamento in tal senso, è uno scenario che m’interessa parecchio. Come dicevo nell’intervento di apertura del MiT5, ci sono artisti e aziende che comprendono le potenzialità del Web 2.0, facilitando il remix tra i contenuti professionali e quelli amatoriali, invitando i fan a darsi da fare.

È ad esempio il caso di Stephen Colbert, che anzi su Comedy Central lo proponendo da anni, mentre all’opposto l’azienda-madre Viacom avvia azioni legali contro YouTube. Siamo quindi alle prese con una serie di contraddizioni, alle volte perfino all’interno delle stesse aziende che da una parte vogliono diffondere i contenuti per dare spazio alla creatività dei mash-up e per sfruttare il viral marketing, ma dall’altra devono sottostare ai limiti posti dai propri avvocati tesi a difendere continuamente la proprietà intellettuale onde prevenire abusi e appropriazioni da parte di altri rivali commerciali. È quanto accaduto di recente, fra gli altri, con lo show Tv Veronica Mars (su network CW di Warner Brothers). Ci troviamo in una fase di transizione, come descrivevo in Convergence Culture, dove vigono ampie contraddizioni tra i modelli della proibizione e della collaborazione.

In quali lingue sono stati tradotti i suoi due ultimi libri? Altri progetti in corso?

Oltre che in italiano, mi sembra che Fans, Bloggers and Gamers uscirà in cinese, coreano e giapponese, mentre di Convergence Culture finora è apparsa solo l’edizione polacca, ma è imminente in altre cinque o sei lingue (inclusa quella italiana). A parte continue ricerche e indagini, nello specifico sto lavorando a un libro di alfabetizzazione mediale per genitori, così da aiutare i figli a fare un uso propositivo e creativo dei media. Sto poi sviluppando l’idea dei media “spalmabili”, dove il contenuto viene appositamente prodotto onde dar vita a successivi rifacimenti e rimescolamenti, con materiali commerciali progettati per essere ridiffusi tramite forme e modalità decise dagli stessi utenti.

Com’è nata l’idea di Media in Transition? Un giudizio sull’andamento di questa edizione?

Media in Transition è partita quasi un decennio fa, come progetto parallelo al lancio del Comparative Media Studies Program, mirato a creare scambi in ambito accademico sulla trasformazione dei media. Ci accorgemmo come non fosse possibile inventare il futuro, idea portante dell’intero lavoro del MIT, senza comprendere il passato. La transizione dei media riguarda quindi il modo con cui la gente considera e utilizza i mass media moderni. Abbiamo così pensato a una conferenza capace di integrare le prospettive storiche e quelle contemporanee, puntando a un contesto interdisciplinare e internazionale. Siamo assai contenti nel vedere che qualcuno ha seguito tutte e cinque le edizioni, c’è un dialogo crescente tra i molteplici punti di vista sull’universo mediatico.

Sono estremamente soddisfatto di questo MiT5 per il livello della conversazione che si sta generando, oltre che per l’ampia presenza globale. È assai interessante il fatto che le tematiche intorno a YouTube stiano conquistando sempre più attenzione nei panel di questi giorni, pur se quando li abbiamo previsti eravamo nell’era pre-YouTube. E comunque saranno le sessioni finali a preparare il terreno per la prossima edizione, fra due anni. Sempre con l’intento di riunire insieme artisti, intellettuali e cittadini per affrontare i temi più caldi al crocevia tra collaborazione, appropriazione e creatività.

L'autore

  • Bernardo Parrella
    Bernardo Parrella è un giornalista freelance, traduttore e attivista su temi legati a media e culture digitali. Collabora dagli Stati Uniti con varie testate, tra cui Wired e La Stampa online.

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