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La Cassazione si pronuncia sulla trasmissione di immagini pedopornografiche via Internet

13 Maggio 2003

La Cassazione si pronuncia sulla trasmissione di immagini pedopornografiche via Internet

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La Cassazione ha sotenuto che la trasmissione diretta, tra due utenti di una chat line, di file contenenti materiale pedopornografico non configura divulgazione o distribuzione, ma semplice cessione del materiale.

La quinta sezione penale della Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 4900 del 3 febbraio 2003, ha esaminato il caso di un uomo indagato per il reato previsto dal terzo comma dell’art. 600 ter del codice penale (diffusione di materiale pedopornografico), per aver ripetutamente divulgato per via telematica materiale di questo genere.

Questa norma prevede che chiunque, con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, distribuisce, divulga o pubblicizza materiale pedopornografico, oppure distribuisce o divulga notizie o informazioni finalizzate all’adescamento o allo sfruttamento sessuale di minori degli anni diciotto, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da 2.582 euro a 51.645 euro.

Le foto diffuse riguardavano rapporti sessuali fra minorenni, o tra minori e adulti.

La Cassazione ha ritenuto “pacifico che le trasmissioni dei file contenenti immagini pornografiche sono avvenute su richiesta di chi si è messo per via informatica in dialogo privilegiato con il C.” e, pertanto, “è da escludere che tale trasmissione diretta tra due utenti, i quali devono essere necessariamente d’accordo sulla trasmissione del materiale, configuri senz’altro una divulgazione o distribuzione”, punita dal terzo comma dell’art. 600 ter.

La Cassazione ha anche affermato che è invece ravvisabile la divulgazione o distribuzione qualora “l’agente inserisca le foto pornografiche minorili in un sito accessibile a tutti, al di fuori di un dialogo privilegiato, o le invii ad un gruppo o lista di discussione, da cui chiunque le possa scaricare, o le invii ad indirizzi di persone determinate ma in successione”, eseguendo cioè una serie di conversazioni private (e, quindi, di cessioni) con diverse persone.

Perciò, quando la cessione avviene attraverso una chat line, come nel caso sottoposto all’esame della Corte, è necessario verificare – al fine della contestazione dell’ipotesi del terzo comma – se il programma consenta a chiunque si colleghi la condivisione di cartelle, archivi e documenti contenenti le foto pornografiche minorili, in modo che chiunque possa accedervi e prelevare direttamente le foto.

Se invece il prelevamento avviene solo previa manifestazione di volontà dichiarata nel corso di una conversazione privata, ci si trova nell’ipotesi più lieve di cui al quarto comma del 600 ter, che prevede che chiunque consapevolmente cede ad altri, anche a titolo
gratuito, materiale pornografico prodotto mediante lo sfruttamento sessuale dei minori degli anni diciotto, è punito con la reclusione fino a tre anni o con la multa da 1.549 euro a 5.164 euro.

L'autore

  • Annarita Gili
    Annarita Gili è avvocato civilista. Dal 1995 si dedica allo studio e all’attività professionale relativamente a tutti i settori del Diritto Civile, tra cui il Diritto dell’Informatica, di Internet e delle Nuove tecnologie.

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