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La BAIA nella Bay Area

08 Settembre 2014

La BAIA nella Bay Area

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Trenta giorni a San Francisco giungono all'epilogo, sotto l'egida degli open data e di una rete di relazione praticamente su misura.

Il tempo vola anche in California. Arriva il momento dei bagagli e dei saluti. Cerco comunque di non sprecare nemmeno un giorno e anche l’ultimo, il 3 settembre, diventa occasione per coltivare contatti e visitare realtà ICT.

La visita a Mapbox

Nel primo pomeriggio ho approfittato di un contatto gentilmente passatomi da Simone Cortesi (che abbiamo già conosciuto) e mi sono recato in zona SoMa, a poche centinaia di metri dalla nuova sede di Twitter, per visitare la sede californiana di Mapbox, azienda che realizza mappe interattive miscelando dati geografici open, provenienti da fonti in pubblico dominio (come i dati diffusi dalla NASA e da altri enti governativi americani) o da progetti che utilizzano licenze libere (come OpenStreetMap e Wikidata), o dati comunque resi disponibili dai loro titolari senza particolari restrizioni.

A ricevermi è Eric Gundersen in persona; con un passato da giornalista, Eric è fondatore e attuale amministratore delegato dell’azienda nonché membro attivo e rispettato della community di OpenStreetMap.

La sede di San Francisco ospita circa venti persone ed è poco più piccola di quella di Washington, DC (che ne ospita circa venticinque, a cui si aggiunge un’altra ventina di collaboratori che lavora da remoto in varie parti del globo); si presenta come un moderno open space con una grande vetrata che dà molta luce al locale. Eric mi riceve in una piccola sala riunioni dotata di un grande schermo LCD e nella quale fa mostra di sé una mappa gigante della penisola di San Francisco, ricavata estraendo da Flickr i dati di geolocalizzazione delle foto caricate e mostrando con diversi colori i luoghi più fotografati della città.

Eric mi chiede che cosa mi ha portato a San Francisco; gli racconto del mio background giuridico e lui mi esprime senza mezzi termini il suo disappunto sul funzionamento di alcune licenze pensate apposta per i database e specialmente di quelle che la clausola share alike. Faccio cenno di conoscere bene la questione e gli spiego che in realtà la complicazione non dipende tanto dalle licenze (che appunto sono solo un riflesso dell’ordinamento giuridico in cui devono svolgere la loro funzione) quanto dal famigerato diritto sui generis che crea una strana proprietà anche su ciò che per natura sfuggirebbe al copyright: i database puri e semplici, quelli non dotati di carattere creativo. Si torna in sostanza a quanto già emerso nella mia visita a Wikimedia e a Electronic Frontier Foundation.

La palla passa a lui che mi racconta la storia della sua azienda, fondata nel 2010 per poi crescere rapidamente. Nel frattempo mi mostra alcuni dei loro prodotti più interessanti e curiosi. Ad esempio una mappa con i luoghi da cui vengono prodotti più tweet e scopro con stupore che gli aeroporti battono ampiamente i centri storici. E addirittura, zoomando sull’aeroporto di San Francisco, si nota perfettamente la forma dei vari terminal. Un’altra mappa divide per colore i dispositivi mobili utilizzati per connettersi alla rete. E indovinate un po’? Guardando le principali città degli USA emerge che i dispositivi Apple sono concentrati nelle aree ricche delle città mentre nei quartieri più poveri prevale Android.

Quando gli chiedo quale sia di preciso il modello di business, mi risponde che semplicemente Mapbox realizza quelle mappe e i relativi dataset per vendere il pacchetto finito e customizzato ad altre aziende; scopro infatti che tra i loro clienti ci sono nomi come Foursquare, Pinterest, Evernote, Financial Times e Uber. È a questo punto che Eric con un certo orgoglio sottolinea che…

Siamo andati avanti con le nostre sole forze fino allo scorso ottobre, quando per la prima volta abbiamo ricevuto un finanziamento da un gruppo di venture capitalist per 10 milioni di dollari.

Una bella dimostrazione che con gli open data si può fare business se si sa come trattarli e dar loro un valore aggiunto.

Saluto Eric e torno al residence per preparare l’ultimo pezzo di bagaglio. Ma il pomeriggio è breve, dato che alle 18 circa mi attende un altro interessante incontro.

L’aperitivo di Baia Network

All’inizio di ogni mese infatti si tiene presso uno dei moltissimi locali della città l’aperitivo di Baia Network, una realtà no profit interamente su base volontaria, fondata nel 2006, che vuole agevolare il più possibile l’integrazione degli imprenditori e professionisti italiani nel tessuto economico e sociale americano.

Il suo attuale executive director, Gabriele Bodda, che ho incontrato proprio all’aperitivo, parla di una pista di atterraggio per chi compie il coraggioso passo di trasferire la propria attività da queste parti.

Come mi spiega Gabriele,

la mission dell’ente è sostanzialmente supportare e aggregare la community di professionisti, manager e imprenditori italiani attivi nella Bay Area. BAIA vuole incrementare la visibilità degli italiani come gruppo nell’ambito della community internazionale del business, nonché sviluppare un solido network di preziose relazioni.

Il locale è riservato ai partecipanti dell’evento e si tratta davvero di una preziosa occasione di socializzazione e di scambio di esperienze. Ci sono imprenditori, studenti di master e dottorati, professionisti, semplici curiosi (come me); si sente parlare principalmente italiano, un vero toccasana dopo un po’ di tempo così lontano da casa. Rivedo persone che avevo incontrato in altre occasioni sia nel 2011 sia in questo ultimo mese, come ad esempio gli italiani che avevo incontrato a Twitter pochi giorni prima. Un’atmosfera realmente calda e accogliente, per una realtà che mi spiace aver scoperto solo così tardi.

Vorrei rimanere di più ma il volo che mi attende la mattina successiva mi impone la sveglia ad un orario inclemente. Mi sono promesso un’ultima cena in riva alla baia; è una bella serata limpida e prima di andare a letto la città mi saluta con una luna malinconica. Mi mancherà tutto questo.

Il testo di questo articolo è sotto licenza Creative Commons Attribution – Share Alike 4.0.

L'autore

  • Simone Aliprandi
    Simone Aliprandi è un avvocato che si occupa di consulenza, ricerca e formazione nel campo del diritto d’autore e più in generale del diritto dell’ICT. Responsabile del progetto copyleft-italia.it, è membro del network Array e collabora come docente con alcuni istituti universitari. Ha pubblicato articoli e libri sul mondo delle tecnologie open e della cultura libera, rilasciando tutte le sue opere con licenze di tipo copyleft.

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